Sostituire un sette volte campione del mondo come Lewis Hamilton non è mai una scelta semplice, soprattutto se a occupare quel sedile è un ragazzo di appena diciott’anni, con poca esperienza a bordo delle Formula. Lo sa bene la Mercedes, che nella serie “The Seat” – un progetto nato dalla collaborazione con Whatsapp e ora disponibile su Netflix – racconta uno dei momenti più delicati e affascinanti della propria storia recente: la scelta, rischiosa e visionaria, di affidare il sedile lasciato da Hamilton al giovane Andrea Kimi Antonelli.
La serie arriva in un momento simbolico, subito dopo il Gp di Miami. Qui, il diciottenne bolognese ha conquistato una Pole position durante le Sprint Qualifying e un ottimo terzo posto nelle qualifiche del sabato – battendo il compagno di squadra in entrambe le occasioni – testimoniano del talento di un ragazzo cresciuto all’interno del programma Mercedes Junior Team.
Il vuoto lasciato da Hamilton e la difficile eredità
L’episodio si apre con il Team Principal Toto Wolff che ripercorre con tono quasi emozionato il legame personale e professionale costruito negli anni con Lewis Hamilton. The Seat non è soltanto la storia di una promozione interna, ma il racconto accurato – anche da parte dei media – del complicato casting organizzato dalla Mercedes per scegliere il successore del sette volte campione del mondo.
Non sono mancati, come ben sappiamo, i nomi di piloti più esperti, come quelli di Carlos Sainz e Max Verstappen. Ma per diversi motivi, l’arrivo dei due si è rivelato infattibile. E così è riemersa una vecchia intuizione: quella di Gwen Lagrue, Driver Development Advisor di Mercedes, che anni fa era rimasto ammaliato dal talento del giovanissimo Antonelli, quando ancora correva sui kart.
L’intuizione di Lagrue e i dubbi di James Allison
“Per come correva, era molto maturo considerando la sua età e la sua esperienza. Ho proposto il nome di Kimi per il sedile. Ovviamente c’erano ancora dei punti di domanda“, racconta Lagrue, confermando quanto spesso il talento debba essere affiancato dal coraggio dei manager di puntare sui giovani prospetti.

James Allison, direttore tecnico del team, ha spiegato per filo e per segno ciò che realmente significa mettere un giovane in una macchina da F1: “Oltre alla velocità, bisogna essere scaltri nella gestione gomme di una gara. Deve sapere cosa fare con le Safety Car, come si entra nei box. Immagina di entrare in un parcheggio andando a 60 km/h e lo spazio è delimitato da esseri umani a cui puoi fare male“.
A confermare i suoi dubbi sono le immagini che il documentario ci mostra di un Antonelli impegnato durante alcuni test privati TPC, concentrato ad apprendere e migliorare nelle fasi più complesse della gara. Tra queste, proprio i pit stop. In una clip viene mostrato un piccolo incidente durante una simulazione, dove un meccanico rischia quasi di farsi male.
Peter Bonnington e una nuova sfida personale
Anche Peter Bonnington, meglio noto come Bono, si è aperto lasciando trapelare delle incognite riguardo a questa nuova sfida. Dopo aver lavorato con giganti come Micheal Schumacher e Lewis Hamilton, si è trovato di fronte a una nuova sfida, del tutto inedita: accompagnare un ragazzo inesperto in un’avventura più grande di lui. “Come dovrei lavorare con un pilota così giovane come lui?”, si chiede Bono.

“È un tipo di pressione diversa perché ci si aspetta tanto da lui, un pilota con tanto talento ma che non lo ha ancora messo in mostra. Il mio compito è cercare di trasformarlo in un altro campione del mondo“. Le telecamere documentano anche i primi momenti tra i due, i dialoghi iniziali e il tentativo di costruire un’intesa tecnica e personale, che come ha più volte ribadito l’ing. Baldisseri, nostro ospite stasera nella puntata di Criticalive, in F1 è essenziale.
Monza, un battesimo di fuoco
Il documentario si sofferma poi sul debutto a Monza di Kimi Antonelli. Un esordio tutt’altro che da favola, carico di emozione e pressione, che ha avuto luogo proprio nel circuito di casa. Kimi racconta con lucidità le sensazioni di quel giorno, senza filtri. “Ero ansioso. Il mio sogno si stava avverando. Mi ricordo che ero seduto in macchina e vedevo la gente sulle tribune. Avevo la pelle d’oca, facevo di tutto per mantenere la calma“, ricorda il bolognese.
“Quel giorno ho deluso la mia famiglia e mio papà. Non se lo aspettava. Dopo l’incidente mi hanno fatto dei controlli perché l’impatto non è stato indifferente. Ricordo che ero nel letto e che volevo rimanere da solo. Ho anche pianto“, confessa il pilota.
Un investimento di fiducia mai visto prima
The Seat segna un momento inedito nella storia recente della F1. In effetti, è la prima volta che un team decide di raccontare pubblicamente, con un documentario dedicato, il percorso e le pressioni legate alla promozione di un proprio pilota. Ancora più significativo è il fatto che quel pilota sia un diciottenne all’esordio, con tutto da dimostrare e senza alcuna garanzia di successo.
Une scelta che sottolinea, meglio di qualsiasi comunicato, quanto Toto Wolff e l’intera organizzazione del reparto F1 di Mercedes abbiano creduto sin dall’inizio nel talento di Andrea Kimi Antonelli.

Un esempio da cui anche in Italia dovremmo imparare. La Ferrari, ad esempio, ha in casa un talento come Oliver Bearman, che ha già dimostrato sangue freddo e velocità nel suo debutto in F1. Alla luce dei risultati non entusiasmanti di Lewis Hamilton, potrebbe essere il momento giusto per iniziare a riflettere concretamente sul futuro e sul valore reale dei giovani prospetti. Perché a volte serve più coraggio che esperienza per costruire il prossimo campione.
Crediti foto: Mercedes AMG-Petronas F1 Team, Prema, profilo Instagram di Whatsapp