Il 30 aprile 1994, alla curva Villeneuve del Circuito di Imola, la Formula 1 perdeva un uomo che aveva dedicato la sua vita a inseguire un sogno: correre nel Mondiale. Trentuno anni dopo, la memoria di Roland Ratzenberger continua a risuonare tra i guardrail e le tribune che hanno visto spegnersi il suo desiderio più grande, proprio quando era riuscito a realizzarlo.
Roland Ratzenberger – Una vocazione nata tra le montagne austriache
Nato il 4 luglio 1960 a Salisburgo, Roland Ratzenberger scoprì la passione per le corse a nove anni, durante una cronoscalata assistita grazie alla nonna. Da quel momento, il motorsport non fu più un semplice passatempo. A diciotto anni si iscrisse alla scuola di guida sportiva di Walter Lechner sul tracciato del Salzburgring, una decisione che segnò l’inizio di una carriera dura, in salita, vissuta tra categorie minori, trasferte, sacrifici e incrollabile determinazione.
Un lungo viaggio tra Europa e Giappone

Dopo gli esordi nel campionato tedesco di Formula Ford nel 1983, Ratzenberger si mise in luce vincendo nel 1985 sia la serie austriaca che quella dell’Europa Centrale. L’anno successivo si trasferì in Inghilterra, dove ottenne i suoi primi successi internazionali nel Festival di Formula Ford e nella serie 1600.
Negli anni seguenti gareggiò in diverse categorie, dalle formule minori a ruote scoperte alle competizioni turismo e prototipi, senza mai ottenere l’opportunità di spiccare definitivamente. Nel 1989 arrivò un incoraggiante terzo posto nella Formula 3000 britannica, con una vittoria, tre pole e sei podi.
Lo stesso anno esordì nel campionato DTM con il team fondato da Helmut Marko e prese parte per la prima volta alla 24 Ore di Le Mans, competizione a cui avrebbe partecipato altre quattro volte fino al 1993. Proseguì la sua carriera soprattutto in Giappone, dividendosi tra la Formula 3000 nipponica, i prototipi e il turismo, raccogliendo pochi risultati ma maturando una grande esperienza.
Un passaggio anche negli Stati Uniti, nella IMSA GT, non cambiò il corso della sua carriera. Nel 1991 partecipò a due appuntamenti del World Sportscar Championship, ma senza venire classificato. L’ultimo podio lo conquistò nel 1993, di nuovo in Giappone. A fine anno tornò a Le Mans, dove concluse quinto con la Toyota.
Roland Ratzenberger in Formula 1: l’occasione a lungo attesa
Il 1994 sembrava essere l’ultima finestra possibile per realizzare un’ambizione mai sopita. A quasi 33 anni, Roland Ratzenberger trovò finalmente una porta aperta: la Simtek, neonata scuderia fondata da Max Mosley e Nick Wirth, gli offrì un contratto per cinque gare. Un ingaggio reso possibile grazie al supporto di sponsor personali.
L’esordio avvenne a Interlagos, in Brasile, dove però non riuscì a qualificarsi. Due settimane dopo, al Gran Premio del Pacifico a Okayama, centrò il 26° e ultimo posto utile in griglia. Concluse la gara, undicesimo e doppiato di cinque tornate, ma al traguardo. Era l’inizio di qualcosa. Ma sarebbe stato anche l’inizio della fine.

Imola 1994: la tragedia in diretta
Il weekend del Gran Premio di San Marino 1994 passò alla storia come il più tragico mai vissuto dalla Formula 1 moderna. Venerdì 29 aprile, Rubens Barrichello fu vittima di un violento impatto alla Variante Bassa. Il brasiliano fu ricoverato con lesioni non gravi e non tornò in pista.
Sabato, durante le qualifiche, Ratzenberger perse il controllo della sua Simtek alla curva Villeneuve. Poco prima era finito largo alle Acque Minerali, danneggiando probabilmente l’ala anteriore. Non si fermò ai box, convinto che tutto fosse sotto controllo. Al giro seguente, il carico aerodinamico cedette: l’ala si staccò e si infilò sotto il fondo vettura. L’auto diventò incontrollabile e si schiantò frontalmente contro il muro a oltre 300 km/h, con una decelerazione stimata di 500 g.
Il trauma fu fatale. La testa del pilota, visibilmente inerte nelle immagini televisive, oscillava senza reazione. Il trasporto d’urgenza all’ospedale Maggiore di Bologna non servì: Roland era già morto. L’autopsia stabilì come causa del decesso la frattura della base cranica, aggravata dalla penetrazione della gomma anteriore nella scocca, che provocò anche la rottura dell’aorta. Era dal 1986, con Elio De Angelis, che un pilota non moriva durante un weekend iridato.

L’eredità e il ricordo
Ai funerali, pochi giorni dopo, parteciparono solo cinque colleghi: David Brabham, Heinz-Harald Frentzen, Johnny Herbert, Karl Wendlinger e Gerhard Berger. Max Mosley, allora presidente della FIA, decise di presenziare al funerale di Ratzenberger e non a quello di Ayrton Senna, scomparso il giorno successivo a Imola, in segno di rispetto per un pilota “meno celebrato ma non meno valoroso”.
Da quel momento, la sicurezza in Formula 1 divenne un tema centrale. Fu ricostituita la GPDA (l’associazione dei piloti), con Michael Schumacher eletto presidente. Tra le prime richieste: più protezioni in pista e nuove misure per la salvaguardia degli abitacoli. Il sistema HANS, introdotto nel 2003, nacque anche grazie alle lezioni apprese in quel drammatico fine settimana.
Il 30 aprile 2024, nel trentesimo anniversario della scomparsa, alla curva Tosa del circuito di Imola, è stata installata una targa commemorativa dalla onlus “La Sfida del Cuore”. Il messaggio inciso, lo stesso presente sulla sua lapide a Salisburgo, recita: “Er lebt für seinen Traum” – “Ha vissuto per il suo sogno”. Un sogno che il destino ha interrotto troppo presto. Ma che il motorsport non ha mai dimenticato.
Crediti foto: F1, Motorsport Images