Chi legge i miei editoriali lo sa: mi piace andare controcorrente rispetto al pensiero dominante intorno al mondo della F1. Tra Norris e Piastri, preferisco il primo, come tra Leclerc ed Hamilton, scelgo il secondo. Allo stesso modo, tra Yuki Tsunoda e Liam Lawson, sto dalla parte del neozelandese. Anche se sono tra i miei favoriti, non risparmio critiche feroci, al contrario di molti che, affezionati a un pilota, lo difenderebbero fino alla morte.
Per mia fortuna, non ho poster, magliette, cappellini o gadget di uno dei piloti in griglia, ma solo uno sticker di oltre 25 anni fa: un cuore con all’interno lo stemma del Cavallino Rampante, incollato a una delle mie due scrivanie.
Poco meno di un mese fa scrissi alcuni pensieri sullo scambio di sedile molto discusso fra Liam Lawson, attualmente in VISA CashApp Racing Bulls, e Yuki Tsunoda, oggi alla Red Bull (link all’articolo), paragonandolo all’attraversamento pedonale di Shibuya, a Tokyo.
Dopo ben tre Gran Premi dallo scambio Lawson-Tsunoda, è cambiato poco o nulla. Lawson, come navigava nelle retrovie con la Red Bull, lo sta facendo tuttora nel team di Faenza; il suo risultato migliore è un 12° posto al recente Gran Premio dell’Arabia Saudita.

Per Tsunoda, il passaggio nella scuderia principale della galassia Red Bull è andato perfino peggio, soprattutto se confrontato con il compagno di squadra Max Verstappen, lui che si sentiva sicuro di non essere lontano dal talento di Hasselt.
In tre gare, il pilota giapponese ha conquistato appena 2 punti, grazie al 9° posto in Bahrain. In Giappone, gara del suo debutto con Red Bull e dove Honda ha investito fior di quattrini per vederlo correre a Suzuka, è finito 12° in gara, con la “consolazione” di esser stato nominato “Driver of the Day” (link all’articolo).
In Arabia si è ritirato dopo poche curve, a causa dei danni subiti in un contatto con l’Alpine di Pierre Gasly. Ma a Lawson non sono state concesse le stesse chance di Tsunoda. Lawson è stato mandato a Faenza dopo solo due Gran Premi, senza appello.
Per Tsunoda, invece, anche grazie al contributo economico di Honda, il team di Milton Keynes ha organizzato il famigerato “TPC Test” (test concessi dalla FIA con monoposto vecchie di due anni, solitamente riservati ai piloti di riserva) a Silverstone con la Red Bull RB19, per aiutarlo a trovare maggior feeling in vista del Gran Premio di Miami, dove sarà concessa solo una sessione di prove libere, essendo un evento con la presenza dell’odiata “Sprint Race” (link all’articolo).

Ma se Tsunoda ha bisogno del TPC Test, a questo punto bastava tenersi Lawson. Tsunoda è un pilota ben più esperto di Lawson, e una chance in Red Bull l’avrebbe meritata, sì, ma in altro modo, senza l’aiuto della Honda. La stessa Honda che, dal prossimo anno, non sarà più partner della scuderia anglo-austriaca, ma fornirà le proprie power unit ai rivali di Aston Martin, smettendo così anche di garantire un posto al connazionale in Red Bull.
Fa specie vedere Tsunoda girare da solo a Silverstone, considerando la sua esperienza di ben cinque anni in F1. A questo punto, sarebbe stato più logico tenere Lawson, fargli sostenere il TPC Test e concedergli altri Gran Premi per prendere confidenza con una monoposto che, di fatto, solo Max Verstappen riesce a guidare. Se poi le cose fossero comunque andate male, si sarebbe potuto procedere con uno “swap” successivamente.
Lo scambio Lawson-Tsunoda ricorda l’aritmetica: cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia. Lo scambio non ha dato, almeno fino ad oggi, il risultato sperato. Come dice la famosa proprietà commutativa dell’addizione: “cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia”, e forse a Milton Keynes un ripasso di aritmetica avrebbe giovato.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, VCARB