C’è un momento, nella carriera di ogni pilota, in cui il linguaggio del corpo dice più delle parole. E a Singapore, Charles Leclerc non ha nemmeno provato a mascherarlo: la voce bassa, gli occhi vuoti, le frasi pesanti come macigni. La bandiera bianca, stavolta, l’ha alzata lui. “È dura, davvero molto dura… non credo che ci sia nulla nella monoposto che mi faccia pensare che faremo un passo avanti”. Non serve altro. In una stagione dove la Ferrari si è già arresa da tempo sul piano tecnico, ora alza bandiera bianca anche chi più di tutti ne aveva incarnato la speranza.
Leclerc, l’uomo della fede cieca, del “credo in questo progetto” ripetuto come un mantra da quando veste il rosso, non crede più. Non nel sogno, non nel percorso, forse nemmeno più nella squadra. Le sue parole dopo il GP di Singapore non sono solo una diagnosi tecnica: sono una confessione. La Ferrari non progredisce, gli altri sì. E lui lo sa. E questa cosa, sotto sotto, spaventa in chiave futura. Perché se un’annata può andar male per ragioni tecniche è diverso se non si crede nella capacità di reagire del team. Charles non ha detto questo, ma il dubbio che possa pensarlo è forte, fortissimo.
Quella del monegasco non è una resa psicologica, ma il lucido sfogo di un pilota che ha sempre dato tutto a un marchio che non gli ha mai restituito abbastanza. Lo sguardo con cui ha attraversato il paddock domenica sera non era quello del gladiatore del 2019, né del combattente che nel 2022 provò a resistere alla Red Bull finché la Ferrari, sempre lei, non iniziò a offrirgli una macchina inaffidabile e che non poteva essere sfruttata fino in fondo per evitare guai tecnici. Esattamente ciò che sta accadendo in questo agonizzante 2025. Charles, domenica sera, era un uomo svuotato, costretto a convivere con l’evidenza che la SF-25 è una macchina senza anima e senza futuro.

“Non so bene come ribaltare le cose, perché non abbiamo novità in arrivo”. Traduzione: non c’è più nulla da fare. Un’ammissione che pesa più di qualsiasi errore al muretto o di una strategia sbagliata. Perché arriva da chi ha sempre difeso il rosso anche quando non c’era niente da difendere.
Il problema non è solo tecnico, ma identitario. La Red Bull evolve, la Mercedes risorge, perfino la McLaren ha randella tutti. La Ferrari, invece, è ferma. Congelata in un limbo di mediocrità, dove ogni dichiarazione post gara suona come una copia sbiadita della precedente. “Dobbiamo analizzare”, “serve capire”, “vedremo nelle prossime gare”. Il linguaggio dell’impotenza comune a tutti i team principal. Un lessico adoperato da Vasseur, da Binotto, da Arrivabene e via citando.
Leclerc non è più disposto a recitare quella parte e ha tolto il velo alla realtà: la Ferrari non sa più dove andare. E quando un pilota del suo calibro smette di credere nel progetto, non c’è più niente da costruire, solo da aspettare l’inevitabile.
Marina Bay, una pista sulla carta amica, ha sancito la frattura definitiva tra la speranza e la realtà. E tra Leclerc e la Ferrari. Se il team di Maranello non troverà il modo di restituirgli un senso – non solo una macchina competitiva, ma un orizzonte – questa sarà ricordata come la gara in cui il principe rosso ha smesso di credere nel suo regno. E forse non solo in chiave 2025…
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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