La F1 è un mondo competitivo in cui i protagonisti si rispettano reciprocamente. A volte basterebbe riflettere sul fatto che il Circus dei Gran Premi è attivo per 24 fine settimana all’anno, il che significa che tutte le risorse necessarie a mettere in scena lo spettacolo vivono a stretto contatto per praticamente metà del tempo necessario alla Terra per compiere un giro in intorno al Sole. È normale che si instaurino rapporti che, a volte, valicano l’appartenenza alla singola squadra.
La Formula 1, quindi, va intesa come un microcosmo, una sorta di famiglia allargata in cui, però, esistono anche storie meno “romantiche” e decisamente più ciniche. Spesso queste dinamiche si consumano all’interno di uno stesso team.
F1: non è tutto oro quel che luccica
L’occasione per approfondire questo meccanismo è stata data dalla recente vicenda che ha coinvolto Enrico Cardile, ex direttore tecnico della Ferrari, che durante il campionato 2024 è stato messo da parte per poi legarsi all’Aston Martin, scuderia nella quale avrebbe dovuto prendere servizio proprio in questi giorni.
La questione, però, ha preso una piega diversa: sono intervenuti i tribunali. La Ferrari contestava all’ingegnere, cresciuto tra le proprie fila, un passaggio prematuro alla squadra rivale, chiedendo di fatto un rinvio dell’operatività, che i giudici modenesi hanno posticipato al mese di maggio. Praticamente, Cardile non ha potuto mettere mano al progetto AMR25 e inizierà a lavorarci in corso d’opera, con un ritardo probabilmente incolmabile. A questo punto, il tecnico si concentrerà direttamente sulla vettura del 2026, supportando Adrian Newey, già al lavoro da qualche giorno nella sede di Silverstone.
Qual è l’anomalia in questa vicenda? Forse non tanto l’epilogo fondato sulle carte bollate, quanto il modo in cui le parti si erano lasciate. Al momento della separazione si parlò di scelta consensuale, di cammino condiviso, di un addio senza alcuno strascico polemico. I fatti odierni, però, raccontano l’opposto: dietro i comunicati di facciata c’erano tensioni molto più profonde, che celavano un malessere interno sfociato nell’insanabile rottura.

Non è chiaro chi sia il vero responsabile della frattura: la Ferrari, che ha “giubilato” Cardile per gli errati sviluppi della SF-24 introdotti a Barcellona, o l’ingegnere, che si è lasciato attrarre dalle sirene di Lawrence Stroll, abbandonando anzitempo il Cavallino Rampante. Chiunque sia il colpevole, il fatto è che quel commiato fu raccontato con toni amichevoli che gli ultimi sviluppi non fanno altro che smentire.
Ma non si tratta di una novità. Recentemente, in Ferrari si è verificato un altro caso simile: quello di Mattia Binotto. Sul finire del campionato 2022, l’ingegnere di Losanna rassegnò le dimissioni, che però non furono accettate dalla dirigenza, apparentemente intenzionata a proteggere un uomo che si era formato professionalmente in Ferrari.
Pochi mesi dopo, però, arrivò il benservito e la sua sostituzione con Fred Vasseur. Anche in quella circostanza, la rottura fu raccontata con una narrazione accomodante, ma ciò che accadde in seguito dimostrò che tra Binotto e il Cavallino Rampante il rapporto era ormai logoro. Si scatenò il classico meccanismo dello scaricabarile per un campionato iniziato con grandi aspettative e conclusosi in maniera quasi drammatica.
Binotto succedeva a un altro “silurato” illustre, Maurizio Arrivabene, che la proprietà del gruppo Exor spostò da Maranello a Torino, alla Juventus. Anche in quel caso, l’apparente intesa si trasformò in pochi giorni in una storia di tensioni e frecciatine che, a ben vedere, non si sono ancora placate.

F1: l’addio finto-buonista è quadi una prassi
La Ferrari, da sempre caratterizzata da un modello gestionale schizofrenico e poco coerente – forse una delle ragioni per cui un team così longevo ha capitalizzato relativamente poco – non è l’unico esempio di questa dinamica. Senza estendere troppo il discorso ad altre realtà, anche la plurivincitrice Mercedes ha vissuto situazioni simili.
Ricordate Mike Elliott, il padre delle vetture “zero sidepod”? Bene, l’occhialuto tecnico, dopo un anno e mezzo di flop tecnici, venne affiancato dal rientrante James Allison, che di fatto gli tolse la scena e ridusse il suo margine operativo. Elliott fu declassato e assegnato a un progetto dai contorni poco chiari, legato alle strategie tecniche future: un comparto appena abbozzato, in cui di fatto era stato parcheggiato in attesa di una nuova collocazione.
Pochi mesi dopo arrivò la rottura, accompagnata da comunicati strappalacrime che non riuscirono a celare i fatti reali: Mercedes attribuiva a Elliott la responsabilità di aver creato due monoposto fallimentari; l’ingegnere, dal canto suo, incolpava il team di avergli affidato una squadra di tecnici ormai poco motivati, dopo anni di successi ininterrotti. Per la serie: “Anche i ricchi piangono”.
Da quel momento, Mercedes ha ottenuto pochissime vittorie e ha visto i titoli mondiali col proverbiale cannocchiale. Segno che qualcosa si è rotto nel team di Brackley e che oggi si cerca faticosamente di ricostruire. Non è un caso che Lewis Hamilton abbia deciso di andarsene, lasciando la compagine con cui ha costruito e vissuto i più grandi trionfi della sua straordinaria carriera.
In questo caso, il saluto è sembrato sinceramente privo di polemiche, ma mentre le parti si scambiavano dichiarazioni d’affetto, lui era già seduto al tavolo con Frédéric Vasseur per organizzare il grande passaggio. È stato proprio il team principal francese a rivelare che le trattative con Hamilton erano iniziate nel 2023, mentre il pilota rinnovava il contratto con la Mercedes.

Insomma, la Formula 1 è molto meno romantica di quanto possa apparire. Storie come quelle che abbiamo raccontato sono all’ordine del giorno e si verificano in ogni singola squadra, a più livelli. Citofonare Red Bull e farsi spigare come sono andate le cose con Jonathan Wheatley.
Certo, la massima serie del motorsport non è fatta solo di cinismo e vendetta. Ci sono anche storie di addii amichevoli, come quello di Aldo Costa che, dopo aver costruito la Mercedes più vincente di sempre, ha chiesto e ottenuto di tornare nella sua amata Italia, dove ora lavora per Dallara.
Nonostante ciò, quel che si intende sottolineare è che bisogna prendere con le pinze certe dichiarazioni rilasciate nel momento in cui si consuma un addio. Alcuni “accordi consensuali”, in realtà, nascondono processi molto più tormentati, che portano a separazioni tutt’altro che amichevoli.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari HP, Sauber F1