Gp Messico, strategia gara – Lando Norris è stato autore di un giro che resterà impresso. L’inglese della McLaren ha conquistato la pole position in cui ha trovato il punto di contatto perfetto tra l’aderenza meccanica e il carico aerodinamico in condizioni limite: leggi il focus. Ma, come spesso accade all’Autódromo Hermanos Rodríguez, la gara rischia di raccontare un’altra storia: quella dell’efficienza termica, della gestione del degrado e della sensibilità dei piloti in un contesto ambientale unico.

Lando Norris: un sabato da dominatore, un contesto tecnico da interpretare
Norris ha messo tutti in fila, lasciando alle sue spalle le due Ferrari di Leclerc e Hamilton e la Mercedes di Russell. Solo quinto Max Verstappen, apparso più in difficoltà del previsto nella ricerca di grip, segno che la Red Bull RB21 continua a patire le caratteristiche della pista messicana. L’altitudine di oltre 2200 metri e la densità ridotta dell’aria penalizzano infatti le vetture più dipendenti dal carico aerodinamico puro, e in questo senso la McLaren sembra aver trovato un compromesso migliore tra efficienza e stabilità.
Ma il vero banco di prova saranno i settantuno giri di un GP che scatterà alle 21:00 italiane. A Città del Messico non basta essere veloci: serve soprattutto leggere il comportamento delle gomme, interpretare le finestre di temperatura e scegliere il momento giusto per le soste. Qui, più che altrove, la gara è una partita di scacchi.
L’eredità del 2024: una gara a singola sosta e degrado gestibile
Lo scorso anno la corsa si era decisa su una strategia a una sola sosta, con la combinazione medio-dura (C4–C3) che aveva dominato la scena. Le prime undici vetture avevano optato per questa sequenza, confermando che il livello di degrado era relativamente basso. Sainz, Norris e Leclerc si erano fermati tra il 30° e il 32° giro, mentre Verstappen aveva anticipato leggermente il cambio gomme al 26° passaggio. La chiave, allora come oggi, era stata la costanza di ritmo e la capacità di mantenere la temperatura superficiale degli pneumatici all’interno del range ottimale, senza surriscaldare il battistrada.
Oscar Piastri, partito 17°, aveva mostrato come una strategia flessibile potesse produrre risultati concreti: lungo primo stint e gestione oculata, fino a risalire fino all’ottava posizione finale. In altre parole, chi riesce a leggere l’evoluzione del grip nel corso della gara ha più chance di emergere rispetto a chi punta tutto sul passo iniziale.
Nuove mescole e un ponte tecnico che cambia gli equilibri
Quest’anno Pirelli ha introdotto una modifica significativa: la Hard non sarà più la C3, ma la C2, un composto più rigido e resistente, mentre Medium e Soft restano C4 e C5. Questa scelta, apparentemente minima, può cambiare molto. La presenza di un “ponte” tra C4 e C2 modifica le finestre di utilizzo e apre a strategie più aggressive, soprattutto per chi partirà nelle prime file.
Le simulazioni Pirelli indicano la combinazione Medium–Soft come la più veloce in assoluto, con un pit stop ottimale tra il 42° e il 48° giro. È una strategia che richiede però attenzione nella gestione della gomma morbida nel finale, dove le alte temperature della pista (attese tra i 48 e i 52°C) potrebbero trasformare la C5 in una trappola termica. In alternativa, la più conservativa Medium–Hard mantiene finestra e ritmo stabili, con un cambio gomme intorno al 26°-32° passaggio. È la scelta ideale per chi teme una gara lineare senza Safety Car.
Ferrari e Mercedes: la tentazione di dividere le strategie
Con due monoposto in prima e terza posizione, la Ferrari potrebbe nuovamente tentare la mossa a scacchi vista ad Austin: una vettura sulla strategia canonica, l’altra su una variante per coprire eventuali imprevisti. La Soft in partenza rappresenta una tentazione concreta: garantisce circa sette decimi di vantaggio al giro nelle prime tornate e può consentire di attaccare Norris alla lunga percorrenza fino a curva 1, dove la scia è determinante.
Il rovescio della medaglia è evidente: la gomma morbida va gestita con cura per evitare un crollo improvviso, soprattutto nel secondo settore, dove le curve medio-veloci surriscaldano il posteriore. L’ipotesi Soft–Medium prevede una finestra ai box tra i giri 23 e 29, mentre la Soft–Hard si sposta leggermente prima, tra il 20° e il 26°. In entrambi i casi, il rischio principale è uscire nel traffico dopo il pit stop, dove l’efficacia del DRS è ridotta a causa dell’altitudine e rende i sorpassi estremamente difficili.
Mercedes, dal canto suo, potrebbe adottare la stessa logica: una vettura aggressiva per tentare il colpo al via (Russell) e una più conservativa (Antonelli) per coprire il campo. In una gara che tende a “neutralizzarsi” dopo i primi venti giri, avere due piani distinti può fare la differenza.

Il fattore DRS e il ruolo chiave dell’altitudine
L’Autódromo Hermanos Rodríguez è uno dei tracciati più particolari del calendario. I 2.200 metri di altitudine incidono pesantemente sul comportamento delle power unit e sull’efficacia aerodinamica: meno aria significa meno carico, ma anche meno resistenza. È per questo che i team scelgono ali da alto carico pur registrando velocità di punta prossime ai 350 km/h.
Il problema emerge però nei duelli: il DRS, che in condizioni normali garantisce un incremento di circa 10-12 km/h, qui si riduce a meno di 6-7 km/h. Ciò significa che, anche con tre zone DRS, superare resta complesso. Mario Isola, direttore Motorsport di Pirelli, lo ha riassunto così: “Il DRS non è efficace con questa altitudine, e se esci nel traffico dopo la sosta rischi di restarci bloccato per dieci giri”. Tradotto: chi decide di anticipare la sosta deve essere certo di trovare aria pulita, altrimenti il vantaggio strategico evapora in pochi chilometri.
Dalla metà in giù: rischi e speranze delle due soste
Per chi parte dal fondo, la doppia sosta Soft–Medium–Soft potrebbe rappresentare un’arma interessante. In termini puramente teorici, non è più lenta di una strategia a una sosta, ma richiede ritmo costante, capacità di sorpasso e gestione impeccabile. Tutte qualità difficili da mettere in mostra su una pista che premia la precisione e punisce l’aggressività.
Più probabile, invece, che qualcuno azzardi un undercut precoce per liberarsi dal traffico, come fatto da Piastri lo scorso anno. In tal caso, la chiave sarà la capacità di gestire uno stint lunghissimo su gomma dura, cercando di mantenere viva la temperatura superficiale. Alex Albon, che parte 17°, potrebbe essere il più incline a tentare qualcosa di diverso, magari sfruttando una Safety Car nelle prime tornate per passare alla Hard e arrivare fino al traguardo.
“È rischioso – ha ammesso Isola – perché con l’usura si perde temperatura e cala il grip, soprattutto sull’anteriore. Ma se qualcuno lo farà, non mi sorprenderà”. Un messaggio che potrebbe nascondere più di un indizio.

Termiche elevate e degrado crescente: la vera incognita
La temperatura sarà l’altro grande protagonista del weekend. I 26°C ambientali non raccontano tutta la verità: l’effetto combinato dell’altitudine e dei raggi UV spinge l’asfalto fino a 50°C, con un impatto diretto sulla tenuta delle gomme morbide. Più la pista si scalda, più la finestra di utilizzo della C5 si restringe, e più probabile diventa un decadimento precoce delle prestazioni.
Questo scenario potrebbe favorire chi sceglierà di partire su Medium e conservare le Soft per il finale, quando il serbatoio sarà più leggero e le condizioni più stabili. La gestione termica, più ancora del degrado meccanico, determinerà il ritmo medio della seconda metà di gara.
A Città del Messico, più che altrove, vincerà chi saprà leggere la pista giro dopo giro, adattando ritmo, gestione e tattica alla temperatura e al traffico. E in una domenica che si preannuncia caldissima, non solo per il meteo, il vero avversario potrebbe essere proprio l’asfalto messicano.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, McLaren, F1.com
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