Se qualcuno pensava che il Gran Premio d’Italia avrebbe messo alla prova la gestione gomme dei team si è sbagliato di grosso. A fallire la prova non sono stati né i piloti né le squadre, ma la Pirelli, che ha deciso di presentarsi a Monza con le mescole C3, C4 e C5, una scelta poco “aggressiva” che non è stata in grado di movimentare la gara. Mescole troppo conservative, praticamente eterne, che hanno ucciso in partenza qualsiasi velleità strategica.
Basti pensare a un dato: Esteban Ocon ha potuto fermarsi al giro 50 dei 52 previsti. Un pit stop a due giri dalla fine, roba che basterebbe da sola a bocciare le analisi del gommista che forse non è stato in grado di leggere i livelli di abrasività dell’asfalto brianzolo.
Il quadro diventa ancora più surreale se si guarda alle McLaren, che hanno “pittato” rispettivamente al giro 46 e al giro 47. In pratica, il treno di hard C3 avrebbe potuto coprire due gran premi consecutivi senza battere ciglio. Si scherza, ma non troppo. Questo è accaduto, signore e signori, in un circuito come Monza, il “tempio della velocità”, dove ci si attenderebbero azione e sorpassi. Questi, a parziale discolpa del gommista, sono mancati anche a causa di regole fallimentari che hanno promesso, senza esito, vicinanza in aria sporca.
Il risultato? Una gara monodimensionale, priva di incertezza strategica, senza il minimo brivido legato all’azzardo di una seconda sosta. I team hanno avuto vita facile, i piloti si sono limitati a gestire e il pubblico si è dovuto accontentare di qualche duello sporadico, per lo più deciso da DRS e differenze di velocità di punta. Il resto è stato anestetizzato dalle gomme-beton che Pirelli ha portato per l’occasione.

Il Gp d’Italia mostra una F1 troppo conservativa
La domanda è: fino a quando si dovrà assistere a questo teatrino? Ogni volta che la parola “degrado” viene evocata, in pista si assiste all’esatto contrario. La verità è che a Monza si è vista una gomma “politicamente corretta”, progettata per non dare fastidi, per evitare lamentele, per accontentare i team. Ma il prezzo lo paga lo spettacolo, e con esso i tifosi.
Una volta, quando le gomme crollavano davvero, il paddock era teatro di strategie creative, undercut rischiosi, improvvisi crolli di prestazione che ribaltavano le carte in tavola. Oggi, invece, ci si trova di fronte a pneumatici che reggono ben oltre il necessario, sterilizzando la corsa. E l’assurdità è che a fronte di un calendario sempre più lungo e logorante, con macchine pesantissime e velocità record, la copertura resta l’elemento meno problematico. Una contraddizione che stride con l’immagine che la Formula 1 vuole vendere: quella di uno sport estremo, imprevedibile, emozionante.
A Monza, invece, la previsione più sicura non era su chi avrebbe vinto, ma su quanto avrebbero resistito le hard: troppo. Pirelli dovrebbe avere il coraggio di rischiare davvero, portare mescole che costringano i team a scelte divergenti, che mettano i piloti in condizione di spingere davvero e non di amministrare per cinquanta giri. Finché questo non accadrà, continueremo ad assistere a gare addormentate, e l’unico vero spettacolo resterà confinato nelle statistiche dei pit stop ritardati.
Perché, diciamocelo chiaramente: se la gomma C3 (che non è nemmeno la più dura del ventaglio 2025) è in grado di fare una gara intera, allora il problema non è dei team, non è dei piloti, non è nemmeno del tracciato. È di FIA, Liberty Media e Pirelli che hanno accettato di sacrificare lo spettacolo sull’altare della prudenza.
Crediti foto: Formulacritica, F1
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