In Ferrari c’è una legge non scritta, ma inesorabile: quando le cose vanno male, si apre il vaso di Pandora. Bastano un paio di gare storte (vabbè, quest’anno non ce ne è stata una dritta), un weekend in cui la macchina non risponde, e dal ventre della Gestione Sportiva iniziano a filtrare le “voci”. Quei richiami che non raccontano solo malumori, ma vere e proprie guerre di posizione.
È un copione antico, quasi arcaico, che si ripete da decenni. Ogni epoca ha avuto i suoi protagonisti e i suoi antagonisti, ma lo schema resta sempre lo stesso: il fallimento tecnico diventa il terreno ideale per le lotte di potere interne. Gli ingegneri si dividono in fazioni, i responsabili di reparto si trincerano dietro numeri e relazioni e i dirigenti, invece di compattarsi, iniziano a guardarsi in cagnesco.
Gli spifferi che arrivano all’esterno – e che puntualmente trovano sponda in certi ambienti giornalistici – non sono mai casuali. Sono colpi di mano, mosse strategiche di chi cerca di indebolire l’altro gruppo, di chi vuole orientare la narrazione e, in fondo, salvare se stesso. Il paradosso è che più si cerca di “pilotare” il racconto, più la Ferrari si ritrova a perdere credibilità.

Non è un fenomeno nuovo, né limitato alla gestione attuale. È un male cronico, atavico, inscalfibile, che sopravvive ai presidenti, ai team principal e agli ingegneri di turno. È come se dentro Maranello ci fosse un sistema immunitario impazzito, pronto a colpire se stesso ogni volta che l’organismo mostra un segno di debolezza.
Si è parlato di “nuovo corso”, di “unità di intenti”, di “ricostruzione”. Concetti nobili, ma che si infrangono contro la realtà di un ambiente dove la politica interna pesa quanto – e spesso più – dei decimi in pista. E quando il cronometro smette di sorridere, la gestione delle colpe diventa più importante della ricerca delle soluzioni.
È questa la differenza tra chi vince e chi continua a inseguire. Nelle squadre di vertice, la crisi genera coesione. In Ferrari, invece, la crisi scatena la caccia al colpevole. E finché questo meccanismo continuerà a dominare la cultura interna del Cavallino Rampante, nessuna rivoluzione tecnica o manageriale potrà davvero cambiare le cose.
In fondo, la verità è amara ma semplice: la Scuderia non perde solo in pista. Perde prima, ogni volta che le sue guerre interne soffocano la possibilità di rinascere. Oggi si racconta di tensioni tra Fred Vasseur e il capo degli ingegneri di pista Matteo Togninalli. Citiamo la notizia – senza necessariamente considerarla vera – per confermare come la macchina della distruzione si avvii con precisione svizzera: c’è il problema, esce lo spiffero, ci si ricama su.
Finché a Maranello continueranno a contare più i sussurri in corridoi bardati da finestre mai del tutto serrate che i numeri al cronometro, la Ferrari resterà prigioniera del suo passato. Perché lì dentro, tra uffici ovattati e porte semi-chiuse, c’è chi sogna di vincere la prossima riunione più che il prossimo Gran Premio. Che amarezza…
Crediti foto: Formulacritica, Scuderia Ferrari HP
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