La settimana scorsa si è tenuta un’importante riunione della F1 Commission nella quale, tra le altre cose, si è affrontato il discorso relativo alle quote di potenza endotermico-elettrico per le Power Unit 2026. Un fatto che denuncia come vi siano ancora in corso delle battaglie tecnico-politiche che vedono sul campo tre schieramenti. Quelli ligi alle regole già scritte – Mercedes, Audi e Honda – che non vogliono revisioni sull’impianto 50/50. Sul fronte opposto c’è la Red Bull che spinge fortemente per rivedere queste percentuali andando in favore di un accrescimento generale dell’importanza del motore a combustione interna.
Nel mezzo, con fare guardingo e in attesa che gli eventi si consumino, c’è la Ferrari che cerca di mediare e di portare a casa un risultato comunque vantaggioso, anche se dall’esterno non si è ben compresa quale sia veramente la linea adottata dal Cavallino Rampante.
Cadillac è sullo sfondo, dato che entrerà nella massima serie del motorsport solo nel 2029 e che per i primi tre anni sarà fornita proprio da Maranello. La riunione ginevrina non ha stabilito alcunché. Abbozzi di idee sono scaturiti, concetti che andranno poi formalizzati nelle riunioni del Consiglio Mondiale del Motorsport.

Tra le proposte che potrebbero passare c’è quella di una sorta di balance of performance finanziario tramite il quale si andrebbe ad aiutare il soggetto più in difficoltà sul fronte tecnico. Un brodino per quelle realtà che in questo momento sembrano in affanno. Tra queste, si racconta in giro per i paddock, ci sarebbe proprio Red Bull Powertrains Ford che, non avendo trovato la quadra giusta sul proprio V6 turbo-ibrido, spingeva per mantenere più elevata la quota di potenza prodotta dall’ICE, versante su cui i tecnici si sentono più forti.
Ma questa politica pare che non verrà premiata perché, dall’altro lato, i colossi dell’automobile si sono messi di traverso facendo pesare la loro forza tecnica e commerciale. Red Bull ha incassato, anche se non passivamente. Ma la volontà non basta per portare a casa il risultato.

Red Bull è vittima di se stessa?
Come mai Red Bull esce sconfitta da questa tenzone politica? Le radici della debolezza contrattuale affondano nel recente passato, quando Christian Horner, dopo accordi formalizzati e ratificati, ha fatto saltare il banco con la Porsche.
Quando Honda decise di dire addio alla Formula 1, Red Bull si era messa alla ricerca di un partner forte che fu individuato in Volkswagen, pronta a scendere in campo con una strategia bicefala: Audi come team-costruttore acquisendo la Sauber e Porsche come partner tecnico per una realtà già affermata.
Questa fu individuata in Red Bull che, in prima battuta, si legò al colosso tedesco, tanto da formare soggetti giuridici registrati in diversi paesi. Quando si era prossimi agli annunci ufficiali, Red Bull, clamorosamente, si chiamò fuori accusando la controparte di voler esercitare un potere decisionale troppo grosso, che avrebbe snaturato l’essenza di un’azienda che da sempre ha preso le decisioni che contano in piena autonomia.
È stato in quel momento che Red Bull ha deciso di farsi tutto in casa, sfruttando il know-how accumulato nell’esperienza con Honda e producendosi in una campagna acquisti che aveva messo nel mirino il Mercedes High Performance Powertrains di Brixworth.
Il comparto motori di Milton Keynes opera ormai da qualche anno, ma forse stanno emergendo le prime perplessità poiché il gruppo, prima di iniziare a lavorare sui motori, ha dovuto organizzarsi e colmare il deficit infrastrutturale rispetto a una concorrenza alle cui spalle ci sono i colossi mondiali del motore, che forniscono competenze, mezzi e che hanno potenza di fuoco elevatissima quando c’è da sedersi ai tavoli della diplomazia. Cosa che Red Bull Powertrains non ha.
Qualcuno eccepisce sottolineando il legame con Ford. Il motorista di Dearborn è un partner che ha accettato di non determinare, proprio come volevano Christian Horner e Chalerm Yoovidhya. La libertà decisionale pretesa e ottenuta da Milton Keynes ha di fatto determinato la debolezza politica che in queste settimane sta venendo a galla.
Ford resta una figura meno preponderante nell’accordo, sia da un punto di vista tecnico che politico . Un soggetto grande ma volontariamente defilato e certamente poco esposto. Volkswagen, di contro, sarebbe stato un nascondiglio che avrebbe sì rubato potere alla Red Bull, ma che avrebbe imposto il suo sigillo su certe trattative con una doppia presenza in F1: con Audi con un team proprio e con Porsche in veste di fornitore-costruttore.
Red Bull ha deciso di non essere supportata da un colosso mondiale dell’automotive per legarsi a un altro gruppo di vaste dimensioni che però non sembra organico alla Formula 1. Ford dà l’idea di avere più interessi commerciali che tecnico-politici. E questa posizione blanda ha fatto sì che il team con cui si è legata sia oggi perdente in una partita che potrebbe determinare gli equilibri di medio periodo del Circus.
I giochi non sono ancora chiusi, ma i margini per una revisione che incontri le necessità della Red Bull sono risicatissimi. Solo il tempo dirà se il team austriaco ne uscirà ancora una volta protagonista, ma i segnali che emergono non sono incoraggianti.
La brama di determinare in solitaria è ciò che sta imponendo a Horner e soci una dura sconfitta per mano di Mercedes, l’ex partner Honda e il potenziale socio che ha mollato proprio in vista dell’altare: Volkswagen.
Red Bull, realtà che con i motori non aveva nulla a che fare, per anni ha impartito lezioni durissime a chi campa di pistoni e benzine. Stavolta, forse, è lei ad aver subito una sconfitta. A meno che, col classico colpo di reni, non sia in grado di riprendersi e di presentarsi nuovamente nel 2026 come soggetto forte. Guai a darli per morti, la loro storia è fatta di clamorosi recuperi che non possono essere esclusi a priori.
Crediti foto: Formulacritica, Oracle Red Bull Racing