Verstappen: vincere non basta

Ritratto di Max Verstappen: un pilota non programmato per perdere

Che cosa significa essere un vincente? Non esiste definizione valida, si tratta di una somma di fattori, di un’addizione ribelle alla quale la matematica non sempre riesce a fornire risultati certi. Sussistono parametri, ovviamente, e anche troppi luoghi comuni, ma non può esserci una risposta univoca con buona pace di chi si arrovella per stilare classifiche e commentare a casaccio.

E che cosa significa essere Max Verstappen? Il campione olandese rappresenta forse un caso unico tra i piloti. Gettato nella gabbia dei leoni non ancora maggiorenne, reo di troppa esuberanza e di enorme strafottenza all’epoca dell’esordio, ha saputo trasformare i molteplici errori in una perfezione chirurgica, la tracotanza in misurata freddezza, le esitazioni in una nobile perfezione. Un risultato encomiabile, ma a quale prezzo?

Un’infanzia mai vissuta, un’innocenza tradita, una rabbia fomentata. Da chi doveva rappresentare la guida, da chi doveva essere faro nella notte e invece ha sempre ricacciato Max nel buio. Una tenebra dalla quale è riuscito a emergere da solo, grazie alle sue forze, da subito costrette a diventare titaniche. Un bambino che reggeva sulle spalle il peso di un mondo gigantesco, fuori misura e fuori tempo. Ma lui a questo mondo si è adattato, fino a plasmarlo, a soggiogarlo, in modo che non potesse mai più ferirlo.

Max Verstappen
Max Verstappen

Non si tratta semplicemente di una corazza, ma di una corteccia. Scorza ruvida contro gli attacchi esterni perpetrati dalla competizione, dall’esigenza di essere comunque il migliore nonostante tutto. Il talento fenomenale gli ha permesso di imporsi; un’iniziale indulgenza gli ha concesso il tempo necessario per non essere condannato a causa di certi errori, ascrivibili a inesperienza e foga. Una fortuna che purtroppo, nell’universo cannibale della F1, non è stata concessa a molti.

Una magnanimità che Verstappen ha saputo ripagare, trasformandosi in un’eccellenza, inserendosi di diritto tra i grandi. Almeno a livello di prestazioni. La Red Bull lo ha assecondato nel migliore dei modi, ma non si tratta solo di questo. Lui ha dentro di sé un’abilità sublime, la capacità unica di estrarre il meglio dal mezzo, dote che lo accomuna ai migliori e lo inserisce di diritto nell’olimpo. Eppure qualcosa non torna. Me ne sono accorta ieri, quando sarebbe stato semplice mostrare il carattere senza peccare di prepotenza.

Invece ha giocato sporco in pista, scioccamente e inutilmente, in un’epoca in cui i duelli sono sotto le lenti di un Grande Fratello inflessibile e sarebbe da ingenui pesare di farla franca. Ma ha fatto peggio a freddo, nel dopo gara, usando parole pesanti quanto un macigno, rivendicando un’inammissibile ragione, senza un accenno di scuse dopo aver danneggiato irreparabilmente la gara di Norris.

Già, l'(Or)Lando furioso, di cui si favoleggiava nei commenti, è apparso invece molto pacato e tollerante, disposto al dialogo e disponibile al perdono, qualora si fosse ammessa l’indiscutibile colpa. E Max che fa invece? Rispolvera l’aria da bullo, attacca e accusa in luogo di cospargersi il capo di cenere. Un atteggiamento indigesto, indegno di un pilota del suo calibro.

Qualcuno potrà argomentare che tutto questo fa parte del DNA dei vincenti, potrà rispolverare la ruggine tra Senna e Prost. Ma il paragone non regge. In quel caso parliamo di duelli rusticani, praticamente all’arma bianca, manovre quasi lecite in una Formula Uno che ormai fa parte del passato. Lo scontro era ideologia, una contrapposizione di modi e di ideali, una guerra tra uomini.

Max invece mostra la ferocia a priori, anche quando non è necessaria. Il confronto diviene minaccia, l’avversario qualcuno da annientare utilizzando ogni mezzo, lecito o illecito. Un’offesa per se stesso, che ha tutte le carte per giocare ad armi pari, e gli assi nella manica che molti non possiedono.

Alla fine Verstappen cade in piedi, sportivamente parlando, con un bottino di dieci punti, nonostante i danni da contatto e i secondi di penalità. Ma dal lato umano rimedia un’irrevocabile squalifica: sarà impossibile definirlo ancora campione. Almeno fino a quando non avrà capito il peso delle proprie azioni e l’importanza di certe parole.


Crediti foto: Oracle Red Bull Racing

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