L’era delle Formula 1 a effetto suolo è andata in soffitta, archiviata dai regolamenti 2026 che introdurranno principi operativi profondamente diversi, con un bilanciamento radicalmente nuovo tra aerodinamica, peso, power unit e gestione dell’energia propulsiva. A salutare senza rimpianti questo ciclo tecnico non è una voce marginale del paddock, ma il pilota che più di tutti ne ha incarnato il dominio: Max Verstappen.
“Non mi mancheranno queste auto. All’inizio stare in scia gli altri in curva era bello, ma con il passare del tempo non più“, ha spiegato l’olandese. Una dichiarazione che, letta superficialmente, può apparire come una semplice opinione personale. In realtà, contiene un giudizio tecnico e culturale molto più profondo sull’intera generazione di vetture introdotte nel 2022.
Il punto centrale è paradossale e, per certi versi, spiazzante: il pilota simbolo della Formula 1 ground effect non le ha mai davvero amate. Verstappen ha vinto più di chiunque altro con queste macchine, ne ha sfruttato al massimo i limiti e le potenzialità, ma non ne ha fatto mistero: non sono mai state vetture che parlavano il suo linguaggio.

“Non le ho trovate molto divertenti da guidare, e non sono state per niente comode in tutti questi anni“, ha aggiunto il quattro volte iridato. “La mia schiena sta crollando a pezzi e i miei piedi mi fanno sempre male“. Non si tratta di una semplice lamentela fisica, il sotto-messaggio è chiaro. È la sintesi di un concetto chiave: le monoposto a effetto suolo hanno spostato il confine della prestazione lontano dal pilota, rendendolo quasi più esecutore che interprete. Forzatura logica ma che serve per descrivere il concetto.
Dal punto di vista tecnico, le vetture 2022-2025 hanno imposto una finestra di funzionamento estremamente rigida. L’aerodinamica basata sul fondo ha premiato il controllo dell’altezza da terra. Il risultato è stato un’auto molto caricata, ma anche molto vincolata: meno sovrasterzo, meno sottosterzo “vivo”, meno possibilità di giocare sul limite con il volante e con il gas.
Verstappen lo dice chiaramente quando confronta queste monoposto con quelle del passato: “Con le vetture più vecchie avevi un sovrasterzo o un sottosterzo estremo“. Era un difetto, certo, ma anche uno spazio di manovra. Un’area grigia dove il talento poteva emergere in modo più diretto, soprattutto in ingresso curva e in fase di trazione.

Verstappen: un talento enorme che supera i limiti delle auto
Il paradosso è che Max ha dominato proprio in un’epoca che ha ridotto il peso specifico del pilota nella costruzione della prestazione. Il suo talento si è espresso non tanto nella spettacolarità della guida, quanto nella capacità di adattamento, nella lucidità tattica, nella gestione certosina di una macchina estremamente performante ma poco permissiva.
Ora però lo scenario sta cambiando. I regolamenti 2026 promettono vetture più leggere, con meno carico aerodinamico complessivo, un ruolo centrale per la power unit ibrida di nuova generazione e una dinamica di guida che, almeno sulla carta, dovrebbe restituire maggiore variabilità e imprevedibilità.
Ed è qui che il discorso si fa ancora più interessante, soprattutto se incrociato con la situazione Red Bull. Il team di Milton Keynes sta affrontando una trasformazione strutturale profonda, a partire dal progetto Red Bull Powertrains-Ford. Un cambio di paradigma dopo l’addio di Honda che introduce inevitabilmente incognite tecniche, di affidabilità e di integrazione telaio-motore.
In un contesto del genere, vetture più “confortevoli” e teoricamente più divertenti potrebbero non essere un vantaggio automatico per Verstappen. Al contrario, potrebbero ridurre quel livello di controllo sistemico che ha reso la Red Bull dell’era ground effect una macchina quasi perfetta, cucita addosso a un’interpretazione fredda, razionale, implacabile dei weekend di gara.
Non è un caso che Verstappen, pur criticando queste monoposto, ne abbia sfruttato come pochi la coerenza aerodinamica e la prevedibilità. Il suo dominio è stato costruito su un equilibrio quasi perfetto tra macchina e pilota, più che su una guida istintiva o spettacolare. In un contesto 2026 più instabile, più dipendente dalla power unit e dalla gestione energetica, quel tipo di controllo potrebbe essere più difficile da replicare.

In altre parole, la fine dell’era Venturi chiude un ciclo che Verstappen non ha mai amato, ma che gli ha permesso di essere il riferimento assoluto. Il futuro potrebbe offrirgli vetture più vicine alle sue preferenze dichiarate ma anche un quadro competitivo più incerto, meno protetto, più esposto agli errori strutturali.
È un paradosso affascinante: il pilota che ha vinto di più con le auto a effetto suolo potrebbe rimpiangere, sul piano dei risultati, proprio quelle vetture che non gli mancheranno affatto. La Formula 1 che sta arrivando promette di essere diversa. Resta da capire se sarà anche una categoria in cui Verstappen potrà esercitare lo stesso livello di controllo totale che ha definito la sua grandezza in questi anni.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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