Spa-Francorchamps: spaventosamente bella

L'università del motorsport, il circuito più amato dai piloti e dai tifosi. Spa-Francorchamps è più di un tracciato, è quasi uno stato mentale

Ci sono piste dove si è scritta la storia del motorsport perché ivi si sono svolte grandi gesta sportive. Ci sono piste legate indissolubilmente ad incidenti che ci hanno portato via piloti. Ci sono piste che hanno fatto da scenario all’assegnazione di titoli iridati.  

E poi invece ci sono piste che, al di là ciò che è accaduto tra le loro curve, sono, per caratteristiche peculiari e per conformazione, esse stesse la storia dell’automobilismo sportivo: la più antica pista del Belgio, quella di Spa-Francorchamps, è sicuramente tra queste. 

Osannato come “l’università della Formula 1”, eletto a “circuito preferito” da tantissimi piloti,  acclamato come il più bello da tantissimi appassionati, inizialmente il tracciato era radicalmente  diverso da quello attuale. 

Spa-Francorchamps
Scatti dal passato: la vecchia Eau Rouge

Spa-Francorchamps – L’evoluzione della pista 

La pista venne calcata dalle ruote dei bolidi da competizione per la prima volta all’inizio degli anni  ’20, quando il suo disegno fu ricavato unendo le tre strade statali che collegavano le cittadine di Malmedy, Stavelot e Francorchamps: il risultato era un’impegnativa e velocissima sfida di 14 km per  giro. 

Come se non bastasse, alla fine degli anni ’30 si decise di aggirare una parte lenta e tortuosa, l’Ancienne Douane, attraverso la creazione di una veloce e ripida combinazione di curve destra sinistra in salita, la famosa Raidillon, che, insieme alla curva sinistrorsa dell’Eau Rouge, avrebbe  dato origine a quello che molto probabilmente è il tratto d’asfalto più riverito di tutta la Formula 1: un dislivello di 24 metri in appena 240 metri di pista, che porta ad una forte compressione, prima, e  ad uno spaventoso “alleggerimento”, dopo.

Una sequenza che non ti perdona errori: se decidi di  entrarci al massimo, non devi sbagliare nulla, altrimenti voli fuori; una sbavatura nell’impostare la  prima curva della sequenza e le barriere ti vengono incontro in un attimo. E’ il classico punto dove  si può fare la differenza… o si può fare il botto. 

Dopo la seconda guerra mondiale, il tracciato fu reso addirittura ancora più veloce, bypassando il  tornante di Stavelot. Si cominciò ad ospitare il neonato campionato mondiale di Formula 1 e i piloti  più bravi davano la paga a tutti gli altri rischiando la vita non solo all’Eau Rouge-Raidillon o alla  Stavelot, ma anche alla Malmedy (una curva a destra in ripida discesa), alla Masta (allucinante  sequenza sinistra-destra da affrontare in pieno in mezzo alle case), alla Blanchimont (che fa ancora  parte dell’attuale tracciato). 

Le folli velocità, fonte di fascino ma anche di rischio, generarono numerosi incidenti, molto spesso  mortali. Nella seconda metà degli anni ’60 la pista fu adeguata ai nuovi standard di sicurezza, ma  con l’avvento degli alettoni si arrivò a velocità di percorrenza in curva ancora più spaventose: così, su pressione del sindacato piloti (sì, all’epoca i piloti avevano molta più voce in capitolo), il Gran Premio del Belgio di Formula 1 venne trasferito prima a Nivelles e poi a Zolder

Alla fine degli anni ’70 si decise di modificare pesantemente il lay-out: c’erano ancora tratti di strade  ordinarie (dalla curva Blanchimont fino al termine del rettilineo del Kemmel), ma un tratto nuovo,  permanente, tagliava fuori circa metà del vecchio disegno. Il nuovo tracciato era lungo poco meno  di 7 km. La Formula 1 tornò così a Spa-Francorchamps. 

Poi, piccole modifiche per motivi di sicurezza si sono susseguite negli anni, ed un giro è diventato  lungo poco più di 7 km.

Vista dall’alto del tracciato di Spa-Francorchamps

Spa-Francorchamps – Considerazioni sulla pista 

La pista belga, in virtù della sua estensione e della collocazione geografica nel cuore delle Ardenne, è soggetta a bizzarre condizioni atmosferiche: capita spesso, per esempio, che una porzione del  tracciato sia bagnata dalla pioggia, mentre un’altra sia baciata dal sole; superfluo precisare che, in  tali condizioni, emergono i campioni, coloro che riescono a “leggere” la pista e a trovare il limite  prima degli altri. 

Questo splendido nastro d’asfalto dovrebbe essere preso ad esempio da Tilke e dai suoi futuri, non  auspicabili epigoni: esso dimostra come un circuito possa essere modificato senza che l’anima ne  venga distrutta (Hockenheim vi dice qualcosa?); esso insegna come il disegno di un tracciato possa  essere non solo planimetrico, ma anche altimetrico (i moderni circuiti nel deserto, piatti come una  tavola da biliardo, non conoscono dislivelli); esso racconta come possano esistere punti che tirano  fuori dai campioni quel qualcosa in più che li differenzia dagli altri piloti. 

Certo, non si può pretendere che tutti i circuiti del mondiale di Formula 1 abbiano lo stesso  spaventoso fascino di Spa-Francorchamps, ma ce ne sono alcuni che davvero ne escono annichiliti  dal confronto. 

Sì, i tempi son cambiati, e allora vanno bene le tribune amplissime e funzionali, vanno bene le aree  di servizio efficienti, vanno bene le strutture architettoniche moderne, ma la prossima volta che si  decide di modificare un circuito esistente o di crearne uno nuovo, sarebbe il caso di lasciarsi ispirare,  almeno per il disegno del tracciato, da Spa-Francorchamps, da Suzuka, da Silverstone, piuttosto che  da un carattere cinese, come fatto per Shanghai!


Crediti foto: F1

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