Senna Day – Un Paese in Lacrime

Senna non c'è più. Insieme al campione si è spento anche un Paese che non ha mai davvero superato quel tragico momento. Senna incarnava l'idea del riscatto di un popolo che riusciva a unirsi tramite le sue gesta ma che era socialmente diviso e conflittuale

Senna Day – Martedì 3 maggio 1994, aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Un volo partiva per trasportare la salma di Ayrton Senna nella sua terra natale. In Francia il corpo del pilota ci era arrivato quello stesso giorno con l’aereo personale del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. 

Questo dà la misura di quale evento epocale si stesse consumando e per il quale, la burocratica Italia, concesse parecchie deroghe a protocolli solitamente rigidi, che richiedono tempo e carte bollate. 

Quel tempo che un popolo intero non aveva. Nel viaggio finale la bara non fu riposta in un’asettica stiva. No, furono smontati diversi sediolini nella business class in cui fu adagiato il manufatto ligneo avvolto da una bandiera brasiliana. 

I passeggeri, stavolta con una deroga ulteriore concessa dal capitano di bordo, potettero avere  la possibilità di andare a dare un saluto in una specie di camera ardente ad alta quota. Singolarità degli eventi che riscrivono la storia. 

Senna Day
Il volo che riportò Ayrton Senna in Brasile

All’atterraggio dello sfortunato campione, a San Paolo del Brasile, circa cinque milioni di persone erano accalcate lungo la tangenziale che collega l’aeroporto al centro della città. Numeri spaventosi che descrivono bene cosa sia stato Ayrton in un Paese mai assuefatto a sfornare fenomeni in diversi ambiti sportivi. 

Furono proclamati tre giorni di lutto nazionale e annunciati i funerali di stato che si tennero giovedì 5 maggio nella sua San Paolo. Su richiesta dei familiari di Senna, la bara fu trasportata dai suoi molti amici e piloti tra cui Alain Prost con il quale c’era stata una pacificazione partita proprio dal brasiliano quando il francese annunciò il ritiro, l’anno prima con il titolo di campione del mondo in tasca.

Il tragitto dal Palacio dos Bandeirantes, sede del governatore, dove era avvenuta la veglia funebre, al Cimitero di Morumbi, aperto da una salva di 21 colpi di cannone, si svolse tra due immense ali di folla: commozione, incredulità, tristezza i sentimenti imperanti.

La folla oceanica che accompagnò il feretro di Senna dall’aeroporto di San Paolo alla camera ardente

Senna: un collante inconsapevole per un paese lacerato

Senna fece molte cose per il suo paese, forse a sua insaputa. Riuscì in una fase storica in cui, stranamente, la nazionale di pallone, altro marchio di fabbrica delle cose brasiliane che funzionano, vinceva poco.

Cosa che tornò a fare proprio in quell’anno, proprio a scapito dell’Italia che tolse la vita al più grande. Una sorta di nemesi, un segno di quel destino in cui Ayrton credeva ciecamente.

Erano anni politicamente turbolenti quelli di un Brasile che si dimenava in una crisi economica mai del tutto superata. In bilico tra povertà, ricchezze e sviluppo mancato (cosa straordinariamente attuale), fu Senna una ragione per rallegrarsi.

Il Brasile affrontava in quegli anni un difficile processo di ridemocratizzazione. La dittatura militare aveva lasciato il campo a inizio 1985, ma la speranza per un avvenire migliore era presto sfociata in amarezza e disincanto.

La forbice della disuguaglianza si era allargata a tal punto che, a livello mondiale, il paese era superato in questa mesta classifica solo dalla Sierra Leone. I marciapiedi della Cidade Maravilhosa erano invasi da senzatetto, tra i quali molti bambini abbandonati, spesso vittime di violenze di ogni tipo.

La brutalità, del resto, era il tratto caratterizzante dell’azione della polizia che nell’ottobre del 1992 aveva represso una rivolta nel carcere di Carandiru, nel centro di San Paolo, sparando all’impazzata: 111 carcerati inermi uccisi, il bilancio di quelle ore di follia. Pochi poliziotti feriti. Servirono anni per le condanne degli autori che non pagarono mai il prezzo pieno. 

Ayrton Senna diventava monolite in un momento difficile per la sua patria. Rappresentava però il Brasile che vinceva nonostante questo fosse spesso ostile ai suoi stessi figli. Uno stato che dichiarava il default, avvolto dalla povertà, senza futuro e che viveva nella violenza urbana spesso perpetrata da chi doveva far rispettare le leggi. 

Senna era lontano da tutto questo, viveva nella dorata Montecarlo, ma non aveva mai spezzato il legame con la sua terra pur essendo espressione della sua parte più ricca. Uno che dava l’idea che il Brasile, nonostante le contraddizioni lancinanti, fosse un posto di opportunità e non solo di misera vessazione. 

Un brasiliano, Ayrton Da Silva, andato all’estero e capace di far meglio di tanti europei. Questo ebbe a dire Galvao Bueno, la storica voce televisiva della Formula 1 brasiliana. Amico sincero dell’uomo prima che ammiratore idolatra del campione.

Galvao Bueno e Ayrton Senna

La determinazione, il perfezionismo, il senso di giustizia e il patriottismo di Senna ne facevano un simbolo trasversale per un paese dai contrasti forti. Uomo dalla grande personalità che è stato in grado di diventare un esempio anche per il suo stile di vita e i suoi principi che inseguiva sempre, anche a rischio di essere impopolare. Cosa mai avvenuta perché sempre sincero nell’agire.

Senna, in quei giorni di lutto che dilaniavano l’anima di un popolo ma allo stesso tempo lo cementavano intorno al feticcio,  ebbe gli stessi onori di un capo di stato, seppe pacificare tifoserie del calcio che cantavano all’unisono il suo nome anche nei derby più infuocati e che sovente avevano prodotto tragedie passate alla storia. 

“Addio Ayrton, la morte ti ha raggiunto, ma non è riuscita a sorpassarti”, recitava uno striscione tenuto da uno dei tanti tifosi disperati che accompagnavano l’ultimo lento viaggio verso il luogo del riposo eterno. Così è stato e lo comprendiamo ancora una volta nel giorno del triste anniversario. 

#Sennaday


Crediti foto: F1

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