Senna Day – 14:17: il boato e il silenzio

Ore 14:17: il momento che cambiò irreversibilmente la Formula Uno. E la vita di chi ama questo sport

Senna Day – È una giornata di ricordi quella che tutto il mondo del motorsport, compresa la redazione di Formulacritica, sta celebrando. Memorie di massa per un giorno segnante che si intrecciano con le rimembranze personali. 

Nel 1994 ero un adolescente appassionato di motori. Fu una primavera elettrizzante quella che vissi. Qualche mese prima, credo gennaio, in una giornata molto calda per il periodo, mi recai nella sede di una banca (di cui non ricordo il nome) che affaccia sulla zona portuale di Napoli. La “missione” (la vivevo come tale) era il ritiro dei biglietti della tre giorni di Imola, la prima gara di Formula 1 alla quale avrei assistito da tifoso.

L’idolo di allora era Jean Alesi, amore sportivo mai tramontato ad essere onesto. Ayrton Senna? Lo vedevo come quel fastidioso campione che non dà la possibilità al tuo idolo di vincere, di godere, di far gioire. Tra l’altro, a completare il quadro, ero cresciuto nel mito di Alain Prost.

Ma per Ayrton c’era gran rispetto e sicuramente un pizzico di invidia perché, pur non ammettendolo, in foro interno, per dirla alla Thomas Hobbes, c’era quella consapevolezza che si trattava di un gigante.

Alain quell’anno non c’era; non feci in tempo a guardarlo in pista: il ritiro era arrivato la stagione precedente col titolo di campione del mondo in tasca. Pago e soddisfatto appese casco e guanti al chiodo. Avevo gioito davanti alla televisione della cucina, una Phillips a tubo catodico pesantissima e stanca dal troppo lavoro. 

Nonostante Prost fosse in pensione non c’era delusione. Sulla Ferrari, quella derelitta Ferrari, girava un altro francesino per il quale impazzivo, come ho ampiamente lasciato intendere in apertura. E che non riuscì a vedere perché appiedato da un infortunio. Ma questo non poteva deprimere l’entusiasmo di un diciassettenne curioso di un mondo misterioso. 

Senna Day

Imola: l’elettricità nell’aria

Ero il più piccolo del gruppo che partì con due auto ma mi sentivo importante, grande, poiché fui investito del ritiro dei sacri tagliandi che ancora custodisco gelosamente (la foto della copertina immortale il mio accesso domenicale). 

Vi risparmio dettagli tediosi  e giungo all’approccio alla pista. Parcheggiamo non so dove ma di sicuro troppo lontano. Poco male. Attraversammo la cittadina imolese in un fiume rosso intervallato da macchie di altri colori in rappresentanza dei piloti in griglia e delle auto che li muovevano.

Bancarelle con gadget mai visti prima (all’epoca compravi così, altro che Amazon, EBay e simili), odore di piadina, vociare allegro, bandiere, risate, rutti alcolici di tifosi accorrenti da paesi lontani già brilli alle prime ore del mattino. Stranito, divertito e affascinato superai il Santerno per accedere dall’ingresso principale. 

Ci dirigemmo alle Acque Minerali, il mio posto del cuore. Il complesso di curve che più amo di quel tracciato fatto di straordinari saliscendi che avrei percorso mille volte negli anni, quando, sfrontato e irresponsabile, permanevo con una tenda di fortuna per tre giorni pagando il solo circolare del Venerdì. Sotto al sole, nel fango e quella volta di notte in cui, con un paio di compagni d’avventura, rischiammo l’assideramento. Ma è un’altra storia. 

Vedere le vetture scendere in picchiata mentre urlavano e scalavano producendo fragorosi scoppi che percuotevano lo sterno fu una rivelazione. Ridevo come un bambino. Probabilmente, potendomi guardare dall’esterno, avrei visto un adolescente inebetito. Forse tale ero. Scotto di quello straordinario noviziato che mi fa rabbrividire oggi, mentre scrivo da padre, uomo maturo e narratore fortunato di una passione che da quel momento è diventata vita, ossessione stupenda e lavoro.

Roland Ratzenberger

Il brusco risveglio

Quell’incantesimo, quella magia, durò poco perché l’incidente che Rubens Barrichello ebbe dall’altro lato della collina fu uno schiaffo in volto. Un’avvisaglia di un presagio nero. Una mano che ti sveglia dal più dolce dei sogni: la Formula Uno è sport pericoloso e mi (ci) fu rammentato nella maniera più dura. 

Rubens se la cavò con un naso ammaccato, qualche escoriazione e paura a vagonate. Superò il botto pur dovendo saltare la gara. Quell’episodio ebbe un effetto sinistro, quasi spoetizzante. 

Ma il fatto che lo spettacolo potesse proseguire allontanò immediatamente quelle nubi che l’indomani, scure, violente, minacciose, irridenti, si materializzavano coi colori della Simtek di Roland Ratzenberger. Il viola del lutto a farla da padrone, un altro segnale in un weekend che si allontanava sempre di più da quello idilliaco e idealizzato nei giorni dell’ansioso avvicinamento.

Di quell’evento abbiamo già scritto, sarebbe ridondante ripetizione tornarci su. Chiaramente le scorie della tragedia avvelenarono l’aria e resero la testa pesante, confusa da pensieri che non sapevo gestire. In fondo ero un ragazzo. 

La sera prima della gara, alloggiavamo in un albergo riminese, rimasi in stanza mentre i grandi, poco più che ventenni, andarono a godersi i divertimenti della riviera ancora sonnecchiante, che si preparava all’alta stagione. Notte di contrasti: paura e speranze che si fondevano.

Arrivammo presto alla Tosa, laddove decidemmo di vedere il Gran Premio col famoso biglietto circolare. Di nome e di fatto. Il warm-up come antipasto che leniva il disagio di un sole caldo che appannava la vista e arrossava la pelle. Tra una risata e molte chiacchiere ascoltate in silenzio da chi raccontava aneddoti da un passato che non avevo vissuto arrivò il momento del giro di schieramento. 

Poi la partenza, Pedro Lamy che tampona JJ Lehto fermo in pista. I detriti che volano nel pubblico, lo stop, la paura mai provata perché le notizie non arrivavano. La ripartenza, le vetture che sfrecciavano, l’entusiasmo inarrestabile, la sensazione che il peggio fosse alle spalle. E invece…

Ayrton Senna a bordo della Williams FW16, la vettura che gli scippò la vita

14:17: quando tutto cambia

Alle 14:17 il boato. Si sentì distintamente dalla nostra postazione. Qualcosa di grosso era accaduto. Ce ne rendemmo conto dopo ma percepimmo nei minuti successivi che si stava scrivendo la Storia. Quella con la esse maiuscola. La stessa lettera stilizzata che contraddistingue il protagonista di quegli attimi tragici. 

Alle 14:17 cambiò tutto anche se non lo sapevo. Non lo sapevamo. Le notizie all’epoca viaggiavano attraverso radioline gracchianti il cui volume veniva soverchiato dal fragore dei motori aspirati (se non avete avuto il piacere di ascoltare un V12 ruggire non potrete mai capire a cosa mi riferisco). 

Gli schermi giganti erano pochi e non così grandi come la definizione lascerebbe immaginare. La voce di Bob Constanduros (non so perchè ma nella testa mi è rimasta la cronaca inglese e non quella il lingua italiana) era sparata da megafoni sparuti e dal funzionamento intermittente. 

Si percepiva, in quegli attimi di spazientita confusione (“un altro stop!” gridava stizzita la folla inconsapevole) che qualcosa di grosso era accaduto. Le operazioni ripresero dopo molto, troppo, tempo. Allora si comprese che non s’era dinanzi a un semplice incidente. L’elicottero al Tamburello era un nefasto presagio che provavamo ad allontanare dalla testa. Vanamente.

Forse chi era a casa aveva più contezza dei fatti. La radio, finestra lontana su accadimenti vicinissimi, aggiornava i presenti le cui facce si facevano sempre più cupe. La speranza abbandonava i cuori dei presenti alla stessa maniera in cui la vita si commiatava dal corpo del fenomeno paulista. 

L’epilogo di quella gara lo ricordo a fatica. Rammento la vittoria di Michael Schumacher e le flebili feste per il secondo posto di Nicola Larini che aveva preso il posto del mio idolo infortunato. Il terzo classificato non mi soggiunge né sento il bisogno di cercarlo sul comodo web foriero di notizie.  

Rimembro, invece, la lunga processione sul ponte che attraversa il Santerno. Le facce serie, alcune solenni, altre rigate dalle lacrime della consapevolezza. Pochi sorrisi, composto silenzio, bandiere rosse al vento che sventolavano inconsapevoli senza subire gli effetti della storia che invece si era avventata su di me, su di noi, sulla Formula Uno, sulla tutti e tutto. 

Alle 14:17 cambiò davvero tutto e nulla sarebbe stato uguale. Essere qui a ricordare quei momenti ne è conferma.

#Sennaday


Crediti foto: F1, Williams

Foto copertina: Diego Catalano

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