Senna Day – Quel maledetto weekend di Imola è stato uno spartiacque per la Formula Uno. La morte di Ayrton Senna, l’evento simbolo, arrivò all’apice di altre nefaste circostanze: l’incidente che costò la vita a Roland Ratzenberger, lo spaventoso impatto di Rubens Barrichello alla Variante Bassa, il botto tra la Benetton di JJ Lehto e la vettura di Pedro Lamy i cui detriti causarono ferimenti tra gli spettatori in tribuna (uno rimase in coma per qualche giorno) decretarono un cambio di passo nell’ambito della sicurezza attiva e passiva.
Dopo quel weekend, Bernie Ecclestone ebbe a dire che la Formula Uno sarebbe finita. Vi sveliamo una banalità: nulla di ciò è accaduto. Ma la massima espressione dell’automobilismo sportivo è sicuramente cambiata. In maniera radicale.
Quel Primo Maggio la Formula Uno veniva da un periodo di dodici rassicuranti anni senza morti. Di colpo ci svegliammo da un sonno onirico che probabilmente aveva ingannato tutti. Si pensava che la sicurezza avesse fatto passi da gigante. Falso.
Ecclestone, ricordando quella data segnante, ha sottolineato come, fino agli Anni Ottanta, morissero uno o due conducenti in un mondiale. Trend interrotto più per fatalità che per azioni concrete.
I fatti del Primo Maggio 1994, anzi di quel l’intero weekend luttuoso, sono stati segnanti per la trasformazione della Formula 1. Lo ha spiegato sempre l’ex “padre padrone” della serie: “Il problema era che quando qualcuno moriva, andavamo avanti e nessuno faceva alcuno sforzo per fare qualcosa al riguardo. Era così normale. Era stupido. Poi, all’improvviso, ci siamo trovati di nuovo di fronte a questo“.
Si pensi che, quando Gilles Villeneuve è morto, non c’è stato un minuto di silenzio e il suo spazio sulla griglia non è stato lasciato vacante. Una Formula Uno cinica e assuefatta alla tragedia. Come se la morte dovesse essere un dazio obbligatorio da pagare. Lo contemplavano i tifosi, lo volevano i dirigenti, lo accettavano (non senza ritrosie) i piloti. Fino a quel giorno di primavera.

Il sacrificio di Senna ha generato una nuovo Formula Uno
L’impatto della morte di Senna è stato devastante, in ogni senso. La Formula Uno, per non attorcigliarsi su se stessa in una spirale annichilente, si è dovuta reinventare. E ciò è successo grazie al sacrificio di Senna. “Non c’è mai stato un incidente prima d’ora che abbia fatto aprire gli occhi un po’ di più alle persone”, ha detto il 93enne ex manager.
Dopo il weekend “incriminato” la categoria ha conosciuto un solo lutto, nel 2015, quando a perdere la vita è stato Jules Bianchi per l’incidente avuto a Suzuka nell’ottobre dell’anno precedente. Venti anni in cui non sono però mancati potenziali eventi drammatici.
Si ricordi Wendlinger a Monaco 1994, Mika Hakkinen nel 1995 sul circuito di Adelaide, Robert Kubica in Canada, nel 2007. E ancora, l’incidente di Mark Webber a Valencia nel 2010 dove la sua Red Bull si è ribaltata e via citando.
Il Primo Maggio è stata una scossa. I decisori e il pubblico hanno capito nuovamente che il motorsport era pericoloso e fatale se lasciato svilupparsi senza briglie. Si iniziò, quasi subito, a capire quali potessero essere le aree per ridurre sensibilmente il rischio per i protagonisti.
Sicurezza passiva e attiva: decisi passi avanti dopo il 1994
La sicurezza passiva fu messa in cima all’agenda di FIA e FOM. Per dare la cifra dei progressi compiuti negli anni basta fare una semplice riflessione: se l’Enzo e Dino Ferrari, nel 1994, avesse superato la valutazione attuale a cui attualmente ogni tracciato è sottoposto per ottenere l’omologazione della FIA, oggi Ayrton Senna e Roland Ratzenberger sarebbero tra noi. Brutale ma vero.
Quel muro in cemento così vicino alla curva non sarebbe stato autorizzato. I circuiti , da quel giorno, hanno subito modifiche pesanti e Imola ne è cartina di tornasole.
La progettazione delle nuove piste tiene conto di parametri che trent’anni fa non entravano nel computo: lunghezza minima delle vie di fuga, materiale con cui le stesse vengono coperte, potenziali angoli di impatto, barriere capaci di assorbire gli urti e via dicendo.
Al centro di questo processo entrano i piloti costituiti nella Gran Prix Driver Association, ente la cui opinione è fondamentale per il legislatore.

Sicurezza passiva a cui va abbinata quella attiva che riguarda direttamente il veicolo e i “paramenti” che un pilota deve usare in auto. La cellula di sicurezza in carbonio, negli anni, subisce crash test sempre più stringenti.
La testa dei piloti non è più così esposta visto che sono previste ampie protezione laterali che fecero capolino sulle vetture sin dal 1996 in risposta al sopra citato incidente di Hakkinen che rimase in coma per diversi giorni a causa delle sollecitazioni laterali che subì il suo capo.
Dal 2000 è stato introdotto il sistema HANS (Head And Neck Support) che consente di ridurre il rischio di traumi al collo. Il principio è semplice: la testa viene resa solidale al corpo riducendo il rischio di impatti contro l’abitacolo. Si abbattono anche le forze che agiscono su di essa.
Dal 2011 i piloti utilizzano lo Zylon, una strip composta da una fibra sintetica applicata sulla parte alta della visiera che riesce a garantire una sicurezza a prova di proiettile. Espediente resosi necessario per prevenire incidenti simili a quello occorso a Felipe Massa nel 2009.

Alla fine di questo processo c’è da segnalare l’introduzione dell’Halo, strumento molto avversato in una fase iniziale (per questioni puramente estetiche) che in alcuni casi ha salvato la vita ai piloti. Si pensi a Guanyu Zhou a Silverstone 2022 o a Lewis Hamilton a Monza 2021 quando si vide saliee sull’ Halo la Red Bull RB16B di Max Verstappen.
L’attenzione sulla sicurezza attiva e passiva, ma anche la minor disponibilità dei commissari di gara a concedere duelli in pista quasi violenti e potenzialmente dannosi per i protagonisti, provengono da quel weekend che oggi ricordiamo col nostro #SennaDay.
Sono servite le tragedie di trent’anni fa e il sacrificio di quello che era il più grande di sempre per intraprendere un cammino che ha cambiato in meglio la Formula Uno che non ha più voluto tollerare che fosse una gabbia per vittime da sacrificare in nome di uno spettacolo barbaro.
I pericoli sono sempre in agguato, “motorsport is dangerous”, recita il vecchio adagio. Ma la quota di rischi attivabili in maniera maledettamente e intollerabilmente banale è stata drasticamente tagliata.
Forse – e non vuole essere spicciola retorica – è il caso di dire che Roland Ratzenberger e Ayrton Senna non sono morti vanamente.
Crediti foto: F1, Williams
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