È davvero finita per Helmut Marko? La voce, rilanciata in maniera sorprendente da lui stesso, ha scosso il paddock: Sebastian Vettel potrebbe prendere il suo posto in Red Bull. Dopo anni di dominio e controversie, Marko sembra pronto a lasciare il timone a una figura molto diversa da lui. Almeno in apparenza.
Ma cosa accadrebbe se al posto del burbero Helmut ci fosse davvero il sorridente Sebastian?
Chi è davvero Sebastian Vettel oggi?
Negli ultimi anni Sebastian Vettel ha costruito una nuova identità pubblica, lontana dalle polemiche e dalle tensioni del mondo della F1. Terminata l’esperienza con Aston Martin, ha lasciato il suo sedile in Formula 1 per abbracciare cause ambientaliste, sociali e inclusive.
Ha sostenuto campagne per l’utilizzo di carburanti ecologici, difeso i diritti delle donne nel motorsport, parlato di sostenibilità e cambiamento climatico anche nei weekend di gara. Ha piantato alberi nei paddock, ha indossato magliette con messaggi politici, ha corso con un casco arcobaleno. Vettel è diventato, nell’immaginario collettivo, il “buono” della Formula 1. Un perfetto “babyface”, per usare un termine da wrestling.
Ma se dietro questa immagine si nascondesse qualcosa di più oscuro?
Come sarebbe Vettel nei panni di dirigente Red Bull?
Per rispondere, bisogna viaggiare indietro nel tempo e spostare lo sguardo su chi è stato Vettel come pilota competitivo ai massimi livelli.
Il quattro volte campione del mondo con Red Bull non era affatto tenero in pista. Anzi, spesso è stato etichettato come arrogante, spigoloso, strategico fino al limite della correttezza. Celebre il suo “Multi-21, Seb” nel 2013, quando ignorò ordini di scuderia per superare Mark Webber. Emblematici anche alcuni episodi in Ferrari, come la ruotata a Hamilton a Baku o la protesta a Canada 2019 contro le decisioni degli steward.
Vettel sa quanto la F1 sia un gioco spietato. E sa anche che ogni errore, ogni esitazione, si paga carissimo.
Vettel potrebbe essere più spietato di Marko?
Helmut Marko è noto per i suoi metodi duri, se non brutali. Celebre per la brutalità nel “bruciare” giovani talenti dopo pochi Gran Premi, per critiche taglienti in pubblico, per decisioni fulminee e spesso impopolari (ma ha anche dei difetti!). I suoi metodi controversi, d’altro canto, hanno portato alla nascita di talenti quali Max Verstappen e lo stesso Sebastian Vettel.
E se proprio Vettel fosse destinato a raccoglierne l’eredità, non sarebbe affatto detto che il tedesco risulti più tenero. Al contrario: la sua precisione maniacale, la visione tecnica, l’esperienza in pista lo renderebbero un dirigente altrettanto, se non più, esigente.
Con i giovani del vivaio potrebbe giocare il ruolo del mentore, capace di valorizzare e far crescere talenti come una figura paterna, costruttiva e paziente. Ma con i piloti della prima squadra, in ottica mondiale, potrebbe tirare fuori una freddezza feroce, tipica di chi sa cosa serve per vincere. Zero alibi, zero sentimentalismi. Solo prestazioni.
Quale sarebbe l’impatto sulla Red Bull?
Una Red Bull guidata da un Vettel dirigente sarebbe probabilmente più moderna, più attenta all’immagine pubblica e all’evoluzione sociale dello sport. Ma al tempo stesso, potrebbe mantenere o addirittura accentuare quella spinta ossessiva verso la performance.
Vettel sa cosa significa essere campione. E non accetterebbe compromessi. Pretenderebbe il massimo da tutti: ingegneri, meccanici e soprattutto piloti. Quel sorriso che oggi lo accompagna potrebbe essere la maschera perfetta per un dirigente dal pugno di ferro.
In fondo, non sarebbe la prima volta che il “buono” si rivela il villain perfetto.