Jonathan Wheatley, oggi al timone della Kick Sauber, ha alle spalle una carriera che incarna alla perfezione il percorso dal basso verso l’élite della Formula 1. Con l’entusiasmo di chi ha vissuto ogni angolo del paddock, dalla postazione del meccanico alla cabina di comando, Wheatley si è raccontato senza filtri, tra ricordi formativi, legami storici e un presente che guarda al futuro con ambizione.
“Ottimista, appassionato, positivo”: tre parole che usa per descriversi e che riflettono un’attitudine che lo ha accompagnato fin dai primi passi nel motorsport. L’amore per la F1 nasce in tenera età, grazie a un’esperienza memorabile: “Ero a Brands Hatch, mio padre conosceva il capo meccanico della Ferrari. Mi fece salire su una monoposto e la mise in moto. In quel momento ho capito che quella sarebbe stata la mia vita”.

La passione si concretizza a nove anni con i primi giri su un go-kart Deavinsons Sprint a Rye House. Da lì in poi, il percorso di Wheatley è una scalata fatta di tenacia e relazioni. Tra queste spicca quella con Jean Alesi: “Ho lavorato con lui alla Benetton. Il nostro legame è nato immediatamente, è un personaggio unico, generoso, istintivo. Avrei voluto vincere almeno una gara insieme a lui”.
Non è un caso che, se dovesse scegliere dei compagni per un’ipotetica isola deserta, Wheatley farebbe i nomi di Alesi e Flavio Briatore. “Chiunque li abbia visti insieme in quel periodo può immaginare: ogni giorno era un’esplosione di risate. Una coppia indimenticabile”.
Il suo team principal di riferimento? “Difficile sceglierne uno solo. Flavio aveva carisma e intuito fuori dal comune, ma ciò che ha costruito Ron Dennis in McLaren è qualcosa di straordinario. Lo ammiro profondamente”.
Wheatley ama anche perdersi nella cultura. Dopo il recente trasferimento a Zugo, in Svizzera, per guidare la trasformazione della Sauber in Audi F1, ha scoperto un nuovo equilibrio: “Non pensavo mi avrebbe colpito così tanto. Le corse mattutine lungo il lago, le montagne, la quiete… È uno stile di vita che adoro. Ora vorrei imparare davvero il tedesco”.
Quando si parla di momenti memorabili in Formula 1, Wheatley non cita i titoli mondiali vinti con la Red Bull, ma un altro traguardo simbolico: “Il primo pit stop da record mondiale. Non è solo questione di tempo: è l’armonia tra ventidue persone che agiscono in sincronia per due secondi. Un atto collettivo che mi ha sempre commosso”.
E proprio sul fronte tecnico, Wheatley sa bene quanta preparazione ci sia dietro quel gesto apparentemente fulmineo: “Ognuno arriva al box con pressioni diverse, problemi personali, emozioni. Ma in quei due secondi tutto scompare. È una delle magie più pure di questo sport”.
Lontano dal circuito, Wheatley coltiva le amicizie con colleghi di lungo corso, come Alan Permane e Steve Nielsen. E non rinuncia a una tradizione tutta britannica: “Ho un club del curry con amici del motorsport. È lì che spesso rido fino alle lacrime”.

Nel paddock, pochi si sottraggono alla prova del karaoke, ma lui ammette candidamente: “Non fa per me. L’unico modo per cavarsela? Cantare qualcosa di Tom Jones, così almeno ti copre il coro!”. Anche i regali dei fan, a volte, raccontano storie inaspettate: “Aiutammo la Lotus a spegnere un incendio in Malesia. Qualche mese dopo, ricevetti un portachiavi da pompiere. Lo conservo ancora oggi”.
Se potesse essere qualcun altro per un giorno? “Vorrei essere Ayrton Senna, al volante di una Formula 1. Ma mi accontento di vivere questo presente”.
Oggi, a capo di Kick Sauber, Wheatley guarda avanti con determinazione: “Il progetto Audi mi appassiona profondamente. Tra cinque anni? Spero di essere ancora qui, immerso in questa sfida. E di godermi ogni istante”.
Crediti foto: Sauber
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