L’altro ieri AMuS ha lanciato la bomba e ve ne abbiamo dato conto: alcune componenti della F1, intesa nella sua globalità, stanno pensando alla reintroduzione dei motori V10 aspirati. In realtà, è già da qualche tempo che se ne parla. Mohammed Ben Sulayem, numero uno della Federazione Internazionale dell’Automobile, aveva già asserito che la massima serie del motorsport dovesse aprirsi alla valutazione di propulsioni alternative a quella turbo ibrida oggi imperante.
Un sasso lanciato nello stagno che ha smosso le acque fino ad arrivare all’indiscrezione diffusa dall’autorevole testata tedesca, che ha addirittura riferito dell’esistenza di una commissione che sta valutando l’impatto di una simile proposta sulla Formula 1.

Ritorno ai V10 aspirati: tra sogno e realtà
Va ricordato ancora una volta che tra meno di 12 mesi la Formula 1 entrerà in una nuova era tecnica, basata su power unit turbo-ibride da sei cilindri, leggermente semplificate rispetto a quelle attuali, visto che sarà abolito il motogeneratore MGU-H. Un sentiero tecnico tracciato da molto tempo e per il quale tutti i costruttori sono già molto avanti. Si è passati, infatti, dai test sui motori monocilindrici ai modelli veri e propri, a cui sono già abbinati i primi componenti elettrici in progressivo affinamento.
D’altro canto, tra poco più di 10 mesi, le nuove vetture saranno in pista per i test invernali e nella pancia porteranno unità propulsive che a breve cominceranno a girare ai banchi nella loro versione quasi definitiva.
Il dubbio che sorge è elementare: vi pare che, dopo aver investito miliardi in ricerca tecnologica e sviluppo, si possa improvvisamente tornare indietro, mettendo in discussione i capisaldi della nuova Formula 1 per impostare propulsori che, seppur più semplici, richiederebbero nuovi studi molto dispendiosi in termini di tempo e di risorse finanziarie, contingentate dal budget cap che esiste anche nel comparto delle unità motrici?
Servirebbe una rivoluzione normativa a supporto di quella tecnica. Tutte le parti in causa dovrebbero spingere e accettare un congelamento del tetto di spesa per consentire una nuova apertura dei cordoni della borsa. Tutto questo in tempi strettissimi, poiché un nuovo propulsore non si crea dall’oggi al domani.

F1: il fallimento la chiave del cambiamento?
Cosa, al di là di queste difficoltà oggettive, potrebbe portare all’introduzione dei tanto sognati aspirati? Forse un solo elemento: l’attestazione del fallimento di alcuni costruttori.
Ragioniamo per ipotesi. Supponiamo che siano iniziati ad arrivare i primi dati sulle prestazioni e sull’affidabilità dei motori 2026 e che si sia registrata una fortissima sperequazione tra i soggetti in campo. In questo caso, preso atto dello status quo, il legislatore potrebbe stabilire che una convergenza prestazionale sia impossibile e che potrebbe nascere un nuovo monopolio motoristico. Ci sarebbero, dunque, argomenti per convincere le parti a una revisione totale.
Ma sorge un dubbio: come la prenderebbe chi si trova in vantaggio? Chi, in parole semplici, ha lavorato meglio degli altri? Ne nascerebbero lunghe battaglie politiche, probabilmente non compatibili con la ristrettezza dei tempi. E anche se si riuscisse a convincere il battistrada, bisognerebbe poi riscrivere in fretta e furia una serie di normative; un’operazione tutt’altro che semplice.
Il regolamento che sarà introdotto nel 2026 è stato il frutto di un parto molto travagliato e una versione definitiva è stata raggiunta solo due mesi prima che si potesse cominciare fisicamente a lavorare sulle vetture. Ciò per dare forma a quello che è l’iter legislativo in Formula Uno di chi vi abbiamo dato conto in questo approfondimento: leggi qui.
Un altro ostacolo all’introduzione degli accattivanti e urlanti motori aspirati è convincere i nuovi costruttori a rivedere i propri piani operativi. Non è un mistero che le regole 2026 siano state scritte anche per attirare nuovi brand come Audi, che ha deciso di entrare in Formula 1 dopo aver appurato che il meccanismo ibrido sarebbe rimasto, seppur semplificato. Dovrebbero, quindi, improvvisamente rivedere i propri piani industriali accettando una propulsione che oggi è relegata quasi esclusivamente a supercar di nicchia.
Diciamolo chiaramente: i motori plurifrazionati sono tecnologicamente anacronistici, poiché producono poca potenza ed efficienza rispetto al peso e alle dimensioni. Oggi esistono propulsori molto più performanti, anche in termini di durata, più compatti e soprattutto capaci di trasferire la tecnologia nelle auto di tutti i giorni. Questo è il motivo per cui, ad esempio, Honda ha deciso di restare in Formula 1, rivedendo la sua scelta di abbandonare la categoria.
Il V10 è anacronistico e antistorico, anche se – lo ammettiamo – ha un sound che apre il cuore, fa tremare le gambe e vibrare il petto.
Sembra molto difficile che Audi possa accettare una così repentina inversione a U, così come pare improbabile che Ford – entrata proprio per lo sviluppo della parte elettrica – possa restare senza l’elemento che l’ha convinta a rimettersi in gioco. Anche Honda, come detto, difficilmente tornerebbe a uno schema vecchio e desueto
Forse questo abbozzato scenario favorisce Cadillac, che deve ancora entrare nel Circus e deve confrontarsi con motoristi più avanti nello sviluppo? Ecco, questa sì che potrebbe essere una teoria convincente. Ma appare molto improbabile che i motoristi si pieghino per avvantaggiare un singolo costruttore. Tra l’altro, il gruppo appartenente a General Motors ha comunque quasi tre anni di lavoro per mettersi al pari e presentarsi nel 2028 con una power unit competitiva.
Introdurre i motori V10 nel 2028 significherebbe portare avanti le attuali unità per soli due anni, per poi cestinare del tutto una tecnologia in sviluppo dal lontano 2014. Ragionando logicamente, appare chiaro quanto sia difficile vedere realizzato questo scenario. Una bella utopia che, forse, rimarrà tale.

Motori V10 in F1 del tutto bocciati?
Quindi non vedremo mai più i propulsori a 10 cilindri aspirati in Formula 1? Non possiamo dirlo con certezza, non abbiamo la sfera di cristallo né siamo dentro le stanze del potere, laddove si prendono le decisioni per il futuro. Ma, seguendo un ragionamento logico, sembra evidente che la Formula 1 dovrà prima consumare la prossima era normativa, che durerà fino al 2030, e solo dopo si potrà parlare di eventuali cambi di direzione.
Tutto dipenderà dall’efficacia e dall’impatto dei biocarburanti ecosostenibili. Se questi riusciranno a garantire le prestazioni ecologiche attese sia in termini di produzione che di emissioni allo scarico, allora la Formula 1 potrebbe tornare a essere un campionato esclusivo anche da un punto di vista tecnico, senza preoccuparsi troppo delle ricadute sull’automotive.
Molto dipenderà dal successo delle benzine drop-in, capaci di funzionare su qualsiasi tipo di motorizzazione. Tuttavia, anche se questo successo dovesse concretizzarsi, sarebbe difficile scardinare un paradigma tecnico che ha già dimostrato di funzionare.
Ci sbilanciamo: nel 2028 difficilmente vedremo un cambio dell’architettura. Forse, nel 2031, con la prossima revisione regolamentare, si potrebbe aprire un piccolo spiraglio. Se avremo ragione, non chiederemo applausi. Ma se ci saremo sbagliati, saremo i primi a fare ammenda pubblicamente.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP