Riccardo Paletti, breve storia triste di una F1 assassina

42 anni fa se ne andava Riccardo Paletti, un pilota che ha pagato con la propria vita scelte di una F1 cieca

Riccardo Paletti ci guarda ancora, con i suoi occhi gentili nascosti dai grandi occhiali, con quello sguardo illuminato e vivo che nessuna lente potrà mai mitigare. Porta con sé la pace di chi ha raggiunto un sogno, la luminosità di chi si accinge a percorrerlo. Ha capelli mossi e vaporosi mai domati dal casco bianco e blu e una breve storia da raccontare come monito.

Arriva dalla Formula 2, un porto sicuro nel quale si sente a casa e che non vorrebbe abbandonare così prematuramente, se non fosse richiamato dalle alte sfere. Una gloria troppo ambiziosa per esser condivisa da lui, umile soldato del volante. In fondo è solo un ragazzo che ama correre, girare veloce senza troppe ambizioni, tranne quella di fare un regalo al suo cuore che sussulta ogni volta che si trova a bordo di una monoposto.

Riccardo Paletti

Una passione relativamente recente per il ragazzo milanese, che ha sostituto il volante alle mosse di karate e le ruote scoperte ai lunghi sci. Bruschi controsterzi al posto di colpi studiati, voli su nastri d’asfalto in luogo di scivolate lungo i pendii. E quel sapore crudo dei circuiti, benzina e rumore, un mondo veloce in grado di traghettarlo dentro a una sorta di infinito.

Era stato grandioso prendere parte al Gran premio di Imola, un circuito conosciuto e amato. E poco importa per Riccardo aver percorso solamente sette giri, essersi qualificato esclusivamente perché molte vetture non avevano preso il via, a causa di uno scontro tra gli alti papaveri. Fisa, Foca, team inglesi disertori: in quel marasma un ragazzo milanese ha potuto costruire il suo brandello di gloria, nonostante la vettura inadeguata, pronta ad abbandonarlo mentre dava forma al suo castello.

Una modesta Osella come Caronte, il San Lorenzo moderno Acheronte per respingere tutta la vitalità dei sui quasi ventiquattro anni. Dopo il Santerno l’abbraccio del nulla, diluito in una serie di fallimenti a causa di una monoposto infelice. A Montréal arriva una nuova possibilità, un’altra partenza, sebbene tra gli ultimi, in quella terra di reietti dove anche solo guardare avanti rappresenta un’impresa.

Riccardo ci prova, scatta e accelera ingoiando polvere, la vista annebbiata da ventidue auto rabbiose pronte a tutto. Si lancia e si proietta lungo la pista, pregustando la sua giostra di emozioni. Un affondo che dura un’inezia, il tempo immobile di un respiro trattenuto. Poi c’è solo il buio nero dello schianto contro un muro rosso.

Non si tratta dei mattoni con i quali suo padre costruiva edifici: è la Ferrari di Pironi, nuovamente, sebbene incolpevolmente, letale. Esanime e spenta sulla griglia di partenza canadese, quasi fosse un lutto dovuto, il silenzio di un motore che non poteva più cantare, in quel luogo, senza Gilles. Paletti la centra in pieno, a velocità troppo sostenuta, in una sequenza che non lascia scampo.

Riccardo Paletti

Il resto è un tragico fotogramma già conosciuto, fatto di lamiere accartocciate e contorte, di sensi che abbandonano il corpo, di fiamme che si accendono alimentate dalla benzina. Fuoco, estintori, soccorsi e ferite. Vampe malefiche da domare, tempo che scorre impietoso, mentre la morte sogghigna, trionfante e fiera, pregustando ciò che sta per mietere.

La nera signora prende tutto il pacchetto: rivalsa, speranza, perseveranza. Si palesa nell’attimo buono di una sfida sul nascere, della prima conquista a piene mani. Non ci sarebbe stato più nessun Gran Premio per Riccardo, nessun’altra occasione per transitare sul traguardo. Il ragazzo con gli occhiali si fermerà prima di quella linea, nel limbo eterno di una falsa partenza.


Crediti foto: F1

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