Ci siamo, lo “swap” – come si usa dire oggi – tra Liam Lawson e Yuki Tsunoda è ormai cosa fatta. Le cronache riportano di un vertice tenutosi in quel di Dubai nel quale i plenipotenziari della Red Bull hanno deciso che l’esperienza del neozelandese è arrivata al capolinea e, contestualmente, di promuovere il nipponico, che probabilmente andava spinto nel team maggiore già a inizio anno. Un atto tardivo ma forse necessario, viste le prestazioni sciorinante e tenendo conto di un bilancio in Visa Cash App che in realtà non aveva mai del tutto convinto.

Red Bull: la dura vita della spalla di Max Verstappen
Vedersela con Max Verstappen non è una cosa semplice. Nella sua carriera l’unico che gli ha tenuto testa, battendolo pure di tanto in tanto, è stato Daniel Ricciardo. In seguito, ogni pilota che gli è stato affiancato è stato letteralmente demolito, vedendo la propria storia professionale rischiare di essere compromessa sul nascere. Qualche esempio illustre? Pierre Gasly, che si è dovuto ricostruire in AlphaTauri per poi dire addio al mondo Red Bull, trovando fortuna altrove.
Alex Albon, che in un anno e mezzo di affiancamento al pilota di Hasselt ha conosciuto poca gloria e molti dolori, tanto che, alla fine dell’esperienza, si è allontanato per qualche tempo dalla Formula 1 per poi rientrare dalla porta secondaria chiamata Williams, in cui pian piano sta ricostruendo una che racconta di un driver degno di correre nella massima serie del motorsport.
Poi è arrivato il turno di Sergio Perez, un professionista fatto e finito che, all’inizio della sua esperienza nel team di Milton Keynes – dove è arrivato senza i favori di Marko, che è il numero uno del programma piloti – si è ben comportato, contribuendo fattivamente alla vittoria del titolo del 2021 dell’amico-rivale. Ma, man mano che passavano gli anni, la convivenza si faceva più difficile, con vetture che andavano sempre più nella direzione di Max e un team che veniva letteralmente strutturato intorno a quello che l’anno scorso è diventato quattro volte campione del mondo.
Più si imponeva la figura di Verstappen, più si ridimensionava quella di Perez che, a fine mondiale, dopo un rinnovo che aveva sorpreso un po’ tutti, è stato appiedato senza troppi grazie. Vittoria di Marko, che voleva silurare il messicano da molto tempo, visto che non era frutto della sua Academy.
La sconfitta di Marko arriva nel momento in cui si decide la successione a Sergio Perez. Il dirigente austriaco ha fatto il diavolo a quattro per non avere Carlos Sainz, che nel frattempo si era liberato dalla Ferrari e cercava un sedile top. No, il “dottore” voleva piazzare uno dei suoi, un talento proveniente dal suo vivaio. Ma tra i tre nomi in lizza è andato a scegliere proprio quello meno performante: Lawson.

Helmut Marko e la garanzia (fallita) su Liam Lawson
“Il compito di Liam è quello di stare entro due-tre decimi da Verstappen“, sbandierava Marko durante l’inverno. Forse ha sbagliato i calcoli il nostro prode manager di Graz, visto che il distacco tra i due forse si conta in secondi. Era chiaro che mettere un pilota sostanzialmente inesperto, poco veloce e che in VCARB non aveva mai fatto cose rimarchevoli, accanto a una bestia assetata di sangue come Max Verstappen, era un azzardo che rischiava di fallire pietosamente. Così com’è stato.
Lawson è durato in Red Bull come una Vanessa Cardui, farfalla la cui vita supera a malapena il mese. Già dai test del Bahrain era sembrato chiaro che l’adattamento del neozelandese non si fosse compiuto. Le prime due gare hanno offerto un pilota in confusione, che si è prodotto in due disastri in qualifica e in due gare che sono state un inno alla mediocrità. Stavolta le teste d’uovo di Milton Keynes non hanno perso tempo e hanno operato lo switch immediato, sperando di recuperare terreno ma esponendosi a un nuovo rischio: quello di far fallire anche Tsunoda, che sta per affrontare una vera e propria ordalia del fuoco dalla quale può dipendere il futuro della sua carriera.
Yuki non è propriamente un prodotto dell’Academy Red Bull, visto che nasce nelle fila della Honda e da questa si vede sponsorizzato nelle fasi iniziali della sua carriera per poi entrare nel vivaio della scuderia austriaca. Per questo motivo Marko non lo aveva voluto promuovere a fine 2024, salvo poi dover capitolare dinanzi agli eventi. Potendo, Helmut riorganizzerebbe la trattativa con Sainz per affiancare a Verstappen un pilota fatto, finito ed esperto. Ma non si può tornare indietro e bisogna sfruttare quel che si ha in casa. E in questo momento il meglio si chiama Tsunoda.

Helmut Marko e quella rendita chiamata Max Verstappen
Se andiamo a guardare la gestione di Helmut Marko del comparto piloti, osserviamo una lunga serie di fallimenti. Diciamolo fuori dai denti: con Max Verstappen, Helmut ha pescato un jolly e su quello sta campando di rendita. Dopo aver costruito l’olandese, Marko non ne ha più beccata una. Eppure è sempre al suo posto.
La cosa si deve proprio a Verstappen, che ha legato la sua permanenza in Red Bull a quella dell’ex pilota austriaco, che era stato messo in discussione tra il 2023 e il 2024, quando si era consumata una battaglia interna al gruppo Red Bull GmbH dalla quale la sua ala era uscita sconfitta, battuta dalla componente thailandese che ha puntato forte su Christian Horner.
Viene da fare una riflessione lanciando uno sguardo nel mondo Red Bull: non era forse meglio, prestazioni modeste per prestazioni modeste, tenersi Sergio Perez che conosceva bene il team e determinate dinamiche, invece di bruciare un pilota come Lawson e rischiare di dar fuoco a un talento più strutturato che risponde al nome di Yuki Tsunoda?
Nell’ultimo anno dell’attuale contesto regolamentare, con una RB21 recalcitrante e sicuramente non nata sotto la migliore stella tecnica, sarebbe forse stato più saggio andare in continuità per scegliere con calma il pilota da introdurre nel team nel 2026, quando sarà operativo il nuovo contesto normativo. Magari si sarebbero potute apprezzare le prestazioni di Isack Hadjar (quello vituperato dal solito Marko dopo l’errore nel giro di schieramento del Gp d’Australia), un vero talento, e portare lui accanto a Max l’anno prossimo.
Considerazioni alle quali non avremo mai una risposta, visto che Perez si sta godendo la sua pensione temporanea sperando di rientrare nel 2026, magari con qualche team che cerca esperienza a basso costo. Cadillac potrebbe essere un’opzione percorribile per il pilota di Guadalajara.

Insomma, dalla Red Bull emerge una gran confusione, che sicuramente farà sorgere più di un punto di domanda a Max Verstappen, che di bivaccare non ha proprio intenzione. L’olandese punta alla vittoria e le risposte che il team sta dando negli ultimi tempi – anche sul fronte tecnico – sicuramente potranno indurlo a riflessioni più profonde circa la sua permanenza alla corte di Chris Horner. Quella clausola rescissoria, confermata più volte dallo stesso Marko, è uno strumento tramite il quale si potrebbero concretizzare clamorosi scenari in vista dell’anno venturo.
Nel frattempo registriamo una Red Bull che si comporta come una scheggia impazzita e che non riesce a trovare pace nella propria line-up piloti. Un fallimento, questo, ascrivibile a chi è il responsabile del programma conducenti: quel Helmut Marko che, superati gli 80 anni, forse dovrebbe cominciare seriamente a contemplare l’idea di farsi da parte e di lasciare spazio a chi ha una visione d’insieme più ampia e organica.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing