Quando Juan Pablo Montoya parla di Formula 1 lo fa senza mediazioni. Il colombiano, si sa, è un tipo senza filtri. E piace anche per questo. Stavolta le sue parole non si limitano a una valutazione contingente delle prestazioni di Max Verstappen o dell’andamento del campionato, ma aprono uno squarcio sulla strategia di medio-lungo periodo della Red Bull. Una strategia che, letta tra le righe, somiglia più a una scelta obbligata che a un atto di forza.
“La Red Bull sapeva di non avere speranza di lottare per il titolo nel 2026 e per questo ha spinto a fondo sullo sviluppo della vettura 2025 – ha detto Montoya a Grosvenor Casinos – Max Verstappen ha sicuramente svolto un ottimo lavoro e ha guidato benissimo, ma è riuscito ad ottenere vittorie e pole position perché la vettura è migliorata nella seconda parte di stagione mentre la McLaren ha fermato lo sviluppo per concentrarsi sul 2026”.
La chiave è tutta lì: Red Bull non ha semplicemente scelto di investire sul presente, ha deliberatamente sacrificato il futuro prossimo perché consapevole dei rischi strutturali che la attendono con la rivoluzione regolamentare del 2026. Questo è il Montoya-pensiero sintetizzato all’estremo.

Negli ultimi mesi il racconto dominante ha dipinto Milton Keynes come una macchina capace di una notevole rimonta tecnica. La realtà, però, è più complessa. Il 2026 non sarà una semplice evoluzione dell’attuale Formula 1, ma una discontinuità tecnica profonda, soprattutto sul fronte delle power unit. E proprio lì Red Bull si trova ad affrontare la sfida più impegnativa della sua storia recente.
F1 2026, Red Bull – Ford: un salto nel buio?
Con l’uscita di scena di Honda e la nascita di Red Bull Powertrains-Ford, il team anglo-austriaco ha deciso di produrre internamente l’unità motrice. Un salto nel vuoto che nessuna quantità di fiducia può rendere indolore. La collaborazione con Ford, spesso evocata come garanzia di successo, va inquadrata correttamente: il marchio americano fornirà soprattutto competenze sulla parte elettrica, sugli accumulatori e sulla gestione dell’energia, ambiti nei quali l’esperienza maturata nel settore automotive è indiscutibile. Ma una power unit di Formula 1 non è la somma aritmetica delle sue parti.
Il cuore del problema è l’integrazione. Dal 2026 il peso specifico della componente elettrica crescerà in modo significativo, ma il motore termico resterà centrale per efficienza, affidabilità e guidabilità. Coordinare MGU-K (l’unico motogeneratore rimasto), batterie, software di gestione e ICE in un sistema competitivo richiede anni di esperienza che Red Bull, come motorista indipendente, semplicemente non ha. Ferrari, Mercedes e persino Honda partono da una base di know-how accumulata in decenni. Red Bull no.
È in questo contesto che va letta la scelta di spingere aggressivamente sullo sviluppo della vettura 2025. Non si tratta solo di massimizzare un ciclo regolamentare ormai maturo, ma di monetizzare oggi un know-how aerodinamico e telaistico che potrebbe dissolversi domani. Montoya lo dice chiaramente quando sottolinea che Verstappen ha “rischiato” di vincere anche perché altri, a partire dalla McLaren, hanno scelto di fermarsi e guardare avanti. Red Bull, invece, ha fatto l’opposto: ha guardato avanti e non le è piaciuto ciò che ha visto.

Il budget cap e il meccanismo dell’aerodynamic testing restriction amplificano ulteriormente il significato di questa scelta. Ogni ora in galleria del vento, ogni aggiornamento aerodinamico, ogni pacchetto evolutivo portato in pista nel 2025 è una risorsa sottratta al progetto 2026. In un mondo ideale, una squadra strutturata potrebbe permettersi di sviluppare due vetture in parallelo. In quello reale, bisogna scegliere. E Red Bull ha scelto – ovviamente parzialmente – di difendere il presente, accettando il rischio di pagare dazio in futuro.
Questa lettura ridimensiona anche il mito dell’onnipotenza tecnica del team. Adrian Newey non c’è più, la struttura è in fase di transizione e la nuova power unit rappresenta un’incognita che nessun simulatore può eliminare. L’all-in sul 2025 diventa allora una scommessa: vincere ora, accumulare titoli, capitalizzare il ciclo Verstappen prima che il terreno cambi sotto i piedi. Ma le scommesse, nella maggior parte dei casi, sono destinate a fallire. Max ha perso il titolo 2025 e potrebbe incontrare grandi difficoltà nel prossimo contesto operativo.
Questa strategia, pur essendo razionale, espone Red Bull a una vulnerabilità inedita. Se il 2026 dovesse rivelarsi problematico, come preconizzato da Montoya (e non è il solo a farlo) non basterà invocare il talento del pilota o l’esperienza della squadra. In Formula 1, quando sbagli il motore, paghi per anni. Le parole dell’ex Williams non sono un attacco, ma un’analisi. Red Bull non ha puntato tutto sul 2025 perché si sentiva invincibile, bensì perché sapeva di non esserlo più domani. E in questa consapevolezza c’è forse la vera notizia.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, F1
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