Lo “switch” tra Liam Lawson e Yuki Tsunoda è stato il tema della settimana e sicuramente se ne parlerà tanto ancora nei giorni a venire. Una suggestione che, via via che passavano le ore, diventava sempre più notizia fino alla ratifica ufficiale con i soliti comunicati scarni che spezzano con le tendenze social, che solitamente raccontano dinamiche più dettagliate. Ma si sa che, quando le cose non vanno proprio alla grande, si diventa nuovamente istituzionali e si perde la strabordante verve contemporanea. Ne sa qualcosa la Ferrari: leggi qui.
Non ci nascondiamo e confermiamo quella che è la linea della nostra redazione: Helmut Marko è il primo responsabile del fallimento recente del programma piloti Red Bull. Dopo aver individuato Max Verstappen e averlo cresciuto fino a farlo diventare un quattro volte campione del mondo, l’academy di Milton Keynes non ne ha beccata nemmeno più mezza, avendo addirittura bruciato molti dei talenti che essa stessa ha costruito.
Ora Marko, che di quel gruppo è capo e responsabile, esce con una pubblica dichiarazione in cui, trasformandosi in benefattore, dice che il downgrade di Lawson è necessario per preservare la sua carriera. Praticamente: “Ti lascio perché ti amo troppo”.

Red Bull: le traballanti giustificazioni di Helmut Marko
“Abbiamo deciso di rimandare Liam Lawson indietro alla Racing Bulls per salvargli la carriera. Max Verstappen è stato l’unico che è riuscito a maneggiare la macchina in maniera ottimale. Abbiamo pensato che, se avessimo lasciato Lawson in Red Bull, la pressione avrebbe peggiorato le prestazioni. Abbiamo una seconda squadra e lì può riabilitarsi approfittando di un’atmosfera più rilassata. Con la Racing Bulls può ricostruire qualcosa di importante”, ha spiegato a Servus TV, l’arena di proprietà Red Bull Media House dalla quale il vegliardo dirigente spesso fa le sue comunicazioni al mondo.
Da umili osservatori ci permettiamo di evidenziare che le difficoltà di Lawson erano ampiamente prevedibili e che forse sarebbe stato preferibile piazzare sulla seconda Red Bull un pilota più strutturato di un giovane che ha alle spalle poco più di dieci gare, distribuite tra l’altro in due stagioni, in sostituzione di driver che avevano fallito in un team minore come la VCARB. Lawson, pur galleggiando nel team faentino, non aveva mostrato i galloni del fuoriclasse e, anche se le prestazioni sciorinate con la RB21 sono state al di sotto delle attese, certamente non era prevedibile che si mettesse in scia del quattro volte iridato.

Ricorderete che è stato proprio Marko a dire che l’obiettivo era quello di tenere il neozelandese entro i due-tre decimi di distacco dal proprio caposquadra. Questo tipo di previsione è stata letteralmente sballata e quindi si è resa necessaria una clamorosa marcia indietro che, per velocità, rischia ora di mettere in crisi un pilota come Tsunoda, che si troverà calato immediatamente in un contesto nuovo e dovrà dimostrare sin dal primo turno di libere di essere all’altezza della situazione davanti al pubblico amico. Una condizione che mette ancora più pressione in un timing che sinceramente si fa fatica a comprendere.
La sensazione è che Red Bull stia provando a mettere delle toppe in maniera farraginosa e senza avere una strategia vera e propria. A Milton Keynes sono vittime del proprio modello operativo, che mette al centro di tutto un solo pilota per il quale si costruisce la vettura.
Viene da sé che qualsiasi compagno di squadra venga affiancato a Verstappen entra in un ciclo catatonico dal quale non se ne riesce a uscire. Chissà se Tsunoda riuscirà a spezzare questo perverso meccanismo i cui fili sono tirati da Helmut Marko. Questa versione buonista del “Dottore” non convince affatto.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
Foto Copertina: Autosport