I motivi di una crisi – se così può definirsi – possono essere diversi. Quando si verifica una fase di smarrimento, c’è sempre una causa scatenante, un momento che determina l’inizio di una biforcazione sistemica che segna concretamente il precedente cammino. Per la Red Bull, questo momento potrebbe essere coinciso con la morte di Dietrich Mateschitz, avvenuta il 22 ottobre 2022.
In quel periodo, Max Verstappen si avviava a vincere il suo secondo titolo iridato, mentre la Red Bull otteneva il primo costruttori dal 2013, prima che iniziasse l’era turbo ibrida della Formula 1. Un momento triste e segnante per una squadra che cercava di compensare il vuoto lasciato dal visionario fondatore con una serie di trionfi.
Il 2023 è stato il climax nella storia del team, ma il seme della discordia era stato già piantato. Quando manca un punto di riferimento, spesso si avvia una lotta di potere che può causare danni i cui effetti si vedono negli anni a venire. È quanto accaduto a Milton Keynes, dove due fazioni – l’ala austriaca da un lato e quella thailandese dall’altro – si sono scontrate in una lunga disputa che ha visto vincitore Christian Horner, sostenuto dalla proprietà di Chaleo Yoovidhya.
L'”Horner-gate“, secondo alcuni, è scaturito proprio da questa opposizione ed è stato visto come una forma di vendetta da parte di chi ha dovuto cedere il passo. Sebbene tali ricostruzioni non siano mai state confermate, possono avere una base di veridicità, vista l’evoluzione degli eventi che, pur essendosi conclusi, hanno lasciato scorie non ancora smaltite.
Helmut Marko, uno di quelli che, secondo alcuni, è uscito sconfitto nel confronto con Christian Horner, ha recentemente affermato alla TV austriaca ORF che l’assenza di Mateschitz ha portato a un grande cambiamento all’interno del team. Il visionario dirigente austriaco era un vero leader: prendeva decisioni rapide, era un imprenditore carismatico e dotato di lungimiranza, uomo capace di rischiare per trovare soluzioni geniali, facendo la differenza nella sua carriera, anche in Formula 1.

Red Bull: il peso dell’assenza di un leader come Mateschitz
Con la scomparsa di Mateschitz, tutta l’azienda – e non solo il comparto racing – è stata riorganizzata. Una naturale ristrutturazione che non poteva non generare un’onda lunga di problemi, ai quali ora si cerca di porre rimedio. Il comparto Formula 1, nello specifico, ha subito la partenza di due figure storiche: Jonathan Wheatley, che lavorava a Milton Keynes da diciannove anni, e Adrian Newey, figura centrale del team da ben 17 anni.
I due, ha spiegato l’ex pilota di Graz, se ne sono andati non per motivi economici, ma perché avevano percepito la mancanza di quel punto di riferimento che tanto aveva stimolato i membri di una squadra capace di vincere e sorprendere, pur non avendo tradizioni nel mondo del motorsport. Ed è proprio questa la grande vittoria imprenditoriale di Mateschitz.
In questo quadro di continua rivoluzione, l’assenza del fondatore e leader ha fatto sì che un evento, come quello che ha coinvolto il team principal della franchigia anglo-austriaca, abbia letteralmente aperto una falla che ancora oggi si cerca di tappare.

In Red Bull, a un certo punto, hanno capito che era necessario deporre l’ascia di guerra. Una decisione giunta con troppo ritardo, proprio per la mancanza di una figura forte che potesse imporla. I dirigenti hanno capito, seppur con un po’ di ritardo, che era necessario ricompattare le fila per evitare che si possa profilare un’altra clamorosa dipartita (sportiva, s’intende): quella di Max Verstappen, sempre attratto dalle sirene Mercedes (e forse Aston Martin).
L’olandese – ha riferito ancora Marko – non sarà disposto a rimanere in un team litigioso e che soprattutto non riesca a fornirgli una macchina all’altezza delle sue ambizioni. Per questo motivo, è necessario ritrovare la strada giusta, perché l’onda lunga della morte di Mateschitz e il successivo vuoto gestionale rischiano di avere effetti nocivi ancor più serie condizionanti.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing