Nono a 72 secondi dal vincitore di gara. Praticamente a un soffio dal doppiaggio che avrebbe rappresentato l’onta suprema. Questo ha decretato la bandiera a scacchi sventolata alla fine del Gran Premio d’Ungheria per Max Verstappen. Un weekend nero, da dimenticare, in cui nulla ha funzionato e nel quale si è quasi festeggiato l’ingresso in Q3 in qualifiche difficili forse quanto i 70 giri di anonimo calvario condotti dal quattro volte ridato che ormai ha alzato bandiera bianca e si prepara a cedere lo scettro del comando a uno tra Lando Norris e Oscar Piastri.
La Formula Uno è semplice e spietata al contempo: senza macchina consistente non si cantano messe. Puoi anche essere il più forte, puoi anche essere un semidio pagano, ma le ruote davanti agli avversari non le metti e ti pieghi all’anonimato del ventre molle della classifica. Verstappen non può superare i limiti strutturali di un progetto che arranca da metà campionato 2024 e che si è trascinato difficoltà irrisolte che Pierre Waché non ha saputo affrontare. Sì, alla Red Bull manca maledettamente Adrian Newey e la pista lo sta dimostrando al di là delle parole espresse dai vertici del gruppo austriaco.
Per il futuro preoccupa la mancanza di un capo-tecnico geniale che sappia accendere quella scintilla che può fare la differenza. Red Bull rischia di presentarsi all’alba del nuovo quadro normativo con più dubbi che certezze: un comparto tecnico svuotato del suo leader, un propulsore su cui insistono troppe incognite e che potrebbe essere alla base dell’allontanamento di Christian Horner, come abbiamo anticipato in questo focus: leggi qui.
Max Verstappen, da solo, nulla può. Il pilota può mettere una toppa quando c’è da giocarsela sui centesimi, non quando becchi un secondo al giro chiudendo a un minuto e dodici in settanta tornate. E capita che ti mettono le ruote davanti l’Aston Martin e persino la Sauber di Gabriel Bortoleto, meritevole MVP del Gp d’Ungheria.

Red Bull: il modello Verstappen-centrico è al canto del cigno?
È noto che la Red Bull abbia messo al centro del suo programma un solo pilota. Questo modo di operare, un unicum nel Circus, rappresenta una linea di continuità per il team austriaco. Accade oggi, succedeva anche negli anni in cui Sebastian Vettel vinceva titoli a raffica. Si pone un solo soggetto sull’altare e intorno a questo si crea una vera e propria chiesa. Il singolo, quindi, viene tutelato da un punto di vista ambientale, mentale e soprattutto per quanto riguarda la sfera tecnica.
Le vetture sono costruite intorno alle caratteristiche di un driver e nell’esperienza di Verstappen questa cosa è evidente, visto che tutti i compagni di squadra hanno faticato moltissimo ad adattarsi a una monoposto cucita come un abito sartoriale intorno alle peculiarità tecniche dell’olandese che predilige un avantreno preciso come un bisturi e solido come una lastra di marmo.
Qualcuno, a voce bassa, ha lasciato anche intendere che il materiale tecnico a disposizione non sempre sia stato lo stesso. Lo ha sussurrato Sergio Perez, lo si è capito in questa stagione quando gli update sono stati somministrati prima al capofila e poi a Yuki Tsunoda che, arrivato motivato come un toro, si è smarrito tra le pieghe di un team che lavora per il solo.
Questo tipo di schema operativo ha funzionato perché ha portato titoli, vittorie e soddisfazioni, ma presenta anche dei tratti problematici che stanno emergendo proprio in questi ultimi tempi. Red Bull ha definito una sola linea di sviluppo che va nella direzione del driving di Verstappen. Cosa che, con ogni probabilità, ha impostato al ribasso i margini di sviluppo dei modelli RB20 ed RB21. In parole povere, non si sono battute altre piste che rischiavano di far uscire il progetto dalla comfort zone del talentuoso pilota di Hasselt.
In ogni altro team il discorso tecnico pone al centro le necessità dei due piloti che collaborano e provano a creare un mezzo neutro che sia sfruttabile da entrambi. Per Milton Keynes questo non accade e ciò, nel lungo periodo, può rappresentare un serio problema visto che non si riescono a battere altre strade tecniche restando incastrati, come sta evidentemente accadendo, in un rebus irrisolvibile.
Lo scenario descritto, che non ha pretesa di essere oggettivo, potrebbe rappresentare una delle motivazioni alla base della crisi della Red Bull che deve reimparare a lavorare d’insieme, soprattutto quando la Formula 1 si avvicina a una rivoluzione normativa che presenta tantissimi punti di domanda.
Verstappen, per ora, resta fedele alla scuderia che lo ha fatto grande. Nel 2026, infatti, il quattro volte iridato sarà regolarmente al suo posto. Ma è forte la sensazione che Max voglia valutare dall’interno la capacità di reazione della scuderia per poi prendere una decisione in vista del 2027, quando si potrebbero aprire interessanti prospettive in tutti i gruppi più importanti: Ferrari (addio di Hamilton?), McLaren, la solita Mercedes e Aston Martin da tutti identificata come il soggetto in forte ascesa.
La fedeltà, anche se la franchigia di appartenenza ha creato un team a immagine e somiglianza, è qualcosa che non esiste in Formula 1. A maggior ragione quando si parla del pilota più forte degli ultimi anni.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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