La sensazione è che a Milton Keynes stia per chiudersi un’epoca. Le indiscrezioni provenienti dalla stampa estera – in particolare dal Telegraph – hanno agitato il paddock: Helmut Marko sarebbe pronto a ritirarsi definitivamente dalla Red Bull e dunque dalla Formula 1 prima della stagione 2026. Una notizia che, da sola, basterebbe a scuotere gli equilibri interni di Red Bull. Ma che inserita nel mosaico di trasformazioni già avviate, disegna un quadro ben più complesso, quasi una frattura sistemica nell’architettura della squadra che ha inciso nell’ultimo decennio.
Marko non è solo un consulente. È stato la colonna portante del programma giovani, l’ombra sempre vigile sulle scelte politiche della squadra, l’uomo che ha plasmato generazioni di piloti – da Sebastian Vettel a Max Verstappen – guidandole con una filosofia spietata ma efficace. Per Max è stato un mentore, un pigmalione, un garante all’interno del gruppo. La sua uscita crea un vuoto identitario, una perdita di peso specifico che va ben oltre la gerarchia interna: riguarda il DNA stesso del team.
E il 2026, per Red Bull, non sarà un anno qualsiasi. Sarà la stagione del motore nuovo, della rivoluzione regolamentare, del distacco definitivo da Honda. Ma soprattutto sarà il mondiale in cui la squadra si troverà a competere senza figure che per anni hanno rappresentato la sua spina dorsale. Senza Christian Horner, il manager che ha costruito il ciclo, sostituito da un competente ma inevitabilmente meno radicato Laurent Mekies. Senza Adrian Newey, l’artefice del linguaggio aerodinamico che ha trasformato la scuderia in un laboratorio d’avanguardia. E ora, forse, anche senza l’uomo forte dell’ala austriaca di Red Bull GmbH: Helmut Marko.

Red Bull naviga nella transizione
Certo, Red Bull ha già dimostrato di saper riorganizzare il proprio equilibrio. Mekies, subentrato in un momento traumatico per la franchigia anglo-austriaca, ha portato ordine, metodo e un clima più disteso. Pierre Waché, nella seconda parte del 2025, ha saputo correggere diversi errori concettuali della RB21, riportando la vettura su binari competitivi dopo un periodo di smarrimento tecnico.
Eppure, per quanto valide siano le alternative, sostituire un uomo come Marko resta impresa complicata. Perché l’ex pilota di Graz non era una funzione: era un ecosistema. Un punto di pressione politica e sportiva all’interno della struttura Red Bull, ponte diretto con la proprietà austriaca, bilanciamento della componente thailandese. La sua uscita rischia di alterare in modo drastico il delicato equilibrio interno tra Milton Keynes e Salisburgo.
In parallelo corre la sfida più difficile: la nuova power unit targata Red Bull Powertrains. Il motore 2026-2030, frutto della collaborazione con Ford, rappresenta un salto nel buio. Non per incompetenza, ma per inesperienza. Realizzare un’unità propulsiva ex novo, con un regolamento completamente rinnovato e un equilibrio energetico differente, richiede una convergenza perfetta tra ingegneria, simulazione e integrazione telaio-motore. È un terreno in cui Honda aveva maturato una raffinatezza straordinaria, frutto di anni di lavoro, errori, evoluzioni e una sinergia consolidata. Per Red Bull, invece, il 2026 sarà l’anno zero, e questo da solo basterebbe a generare inquietudine.
Il rischio più concreto non è tanto che la nuova power unit sia un fallimento assoluto, quanto che non sia immediatamente all’altezza della concorrenza. Nelle prime stagioni di ogni rivoluzione tecnica, chi sbaglia paga il massimo prezzo. Un deficit di potenza di 15-20 cavalli, o un problema di gestione termica, o ancora una mappa ibrida non ottimizzata, possono trasformarsi in un handicap gravissimo recuperabile in molto tempo a causa di regolamenti un pizzico più elastici di quelli attuali ma comunque molto vincolanti. Cosa che potrebbe farsi sentire in una compagine abituata al vertice e costruita intorno a un pilota che non accetta compromessi.

Verstappen ha ribadito il suo impegno con Red Bull anche oltre il 2025. Ma la clausola rescissoria esiste sempre e un 2026 non all’altezza delle sue aspettative potrebbe suggerirgli l’attivazione con la conseguente fine anticipata di un rapporto che, da contratto, avverrebbe nel 2028. È evidente che la sua permanenza dipenderà da un solo parametro: la competitività della vettura e del progetto.
Il quattro volto iridato non ha mai nascosto il timore del “buco nero” regolamentare del 2026 e non è un mistero che Mercedes, Aston Martin – e chissà pure Ferrari – osservino con attenzione, pronte a tentare l’assalto nel momento esatto in cui Red Bull mostrasse una crepa. La partenza di Marko toglie a Verstappen un alleato interno, uno scudo politico e un punto di riferimento personale. In caso di difficoltà tecniche, potrebbe essere proprio la mancanza di questa figura a far vacillare la sua fiducia nel progetto.
Il quadro regolamentare, intanto, non aiuta. La Formula 1 del 2026 inaugura un nuovo ciclo con vetture più leggere, profilo aerodinamico semplificato e maggiormente attivo, un equilibrio inedito tra potenza termica ed elettrica e una gestione ibrida molto più complessa. È un territorio in cui Red Bull non parte da favorita: non esiste una correlazione con i modelli precedenti, non c’è una storia su cui appoggiarsi. E a Milton Keynes non è ancora partita la nuova galleria del vento. La RB22 nascerà ancora una volta nel desueto impianto di Bedford, un fattore che potrebbe limitare lo slancio creativo di Waché, Balbo e degli altri progettisti. Si ricomincia da una pagina bianca e in queste condizioni l’esperienza di strutture storiche come Ferrari, Mercedes, McLaren o la stessa Honda – ora legata all’ambiziosissima Aston Martin – rappresenta un vantaggio competitivo che non può essere ignorato.

Red Bull: nel 2026 per reinventarsi
Il rischio più realistico, per il 2026 e gli anni immediatamente successivi, non è il crollo verticale, né la catastrofe sportiva. È qualcosa di più subdolo: la perdita dell’inerzia. Il definitivo passaggio da dominatore tecnico (cosa già partita negli ultimi due anni) a team vulnerabile. La fine di un ciclo di certezze e l’inizio di una transizione in cui nessuno, nemmeno internamente, può garantire un ritorno immediato al vertice.
Red Bull potrebbe trovarsi in un limbo: troppo competitiva per cadere nel centro gruppo, ma non abbastanza forte per lottare per un titolo mondiale. Un territorio ibrido che, in passato, ha già minato la stabilità di squadre di vertice. E nel caso dei “bibitari”, con un pilota come Verstappen al centro del progetto, la pressione rischia di diventare esplosiva.
Il vero pericolo è che tutte le incognite si sommino: nuova power unit, nuova aerodinamica, nuova leadership, addii pesanti, vuoto politico interno, possibili malumori del pilota di punta. Ciascun fattore, preso singolarmente, è gestibile. Ma è la loro simultaneità a configurare uno scenario realistico e tendenzialmente pessimistico.

Il 2026 non rappresenterà necessariamente la fine dell’era Red Bull, ma sarà l’anno in cui la squadra perderà la propria identità storica costruita nel tempo, costretta a reinventarsi mentre affronta la più grande rivoluzione tecnica degli ultimi vent’anni. Un momento di verità che potrebbe trasformarsi in opportunità o in una dolorosa regressione.
La differenza la faranno i dettagli, le scelte strategiche, e soprattutto la capacità di tenere unito un gruppo che, per la prima volta, dovrà vivere senza i suoi padri fondatori. L’epoca dell’invincibilità è terminata. Ora inizia quella della sopravvivenza tecnica e politica. E per Red Bull, mai come nel 2026, nessuna garanzia è più valida.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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