Il vicepresidente della Ferrari, Piero Ferrari, non nasconde la propria preoccupazione per il futuro della Scuderia nell’era del budget cap. Secondo l’erede del Drake, il limite imposto alle spese dei team sta rendendo estremamente complesso per la Rossa colmare il divario con i rivali, anche quando le risorse economiche non mancherebbero.
“Oggi i grandi team dispongono di entrate superiori a quelle che possono effettivamente utilizzare. È positivo sotto il profilo dei bilanci, ma se sei in ritardo rispetto a un concorrente non hai la possibilità di accelerare lo sviluppo. Recuperare può richiedere più di una stagione”, ha spiegato in un’intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport.

L’ombra lunga del digiuno iridato
Il tempo è diventato il peggior nemico della Ferrari. L’ultimo titolo mondiale piloti risale al 2007 con Kimi Raikkonen, mentre il Mondiale Costruttori conquistato nel 2008 resta, ancora oggi, l’ultima grande affermazione. Il dato diventa ancor più significativo se confrontato con il passato: tra il titolo del 1983 e quello del 1999 trascorsero quindici anni, mentre l’attuale astinenza rischia di toccare le due decadi.
Questo scenario alimenta una crescente incertezza all’interno del paddock, soprattutto in vista della rivoluzione regolamentare del 2026. Un cambiamento che Piero Ferrari considera tanto un’opportunità quanto un pericolo: “Se imbocchi la strada giusta, puoi aprire un ciclo vincente. Ma con il budget limitato, se parti indietro sarà quasi impossibile recuperare“.
Le ciclicità della Formula 1
Per il figlio di Enzo, la storia della Formula 1 è sempre stata scandita da cicli vincenti e periodi di crisi. Ma oggi interrompere una fase negativa appare molto più complicato: “Quando non hai il vantaggio, non è più possibile colmare le lacune investendo maggiormente. Serve l’allineamento di una serie di fattori tecnici e organizzativi per ribaltare la situazione”.
Il paragone con l’epoca Schumacher è inevitabile. Allora, la Ferrari mise insieme una squadra irripetibile: Jean Todt alla guida del management, Ross Brawn nelle strategie, Rory Byrne sul fronte tecnico e, naturalmente, Michael Schumacher al volante. Un gruppo sostenuto dall’appoggio politico di Luca di Montezemolo e Giovanni Agnelli, capace di garantire libertà di manovra e risorse illimitate.
L’epoca d’oro e le armi perdute
Non furono soltanto le figure chiave a determinare il dominio di inizio anni 2000. Due elementi pesarono in modo decisivo: la partnership privilegiata con Bridgestone, che realizzava pneumatici su misura per le esigenze della Ferrari, e l’intensità dei test. Allora, la Scuderia poteva provare senza limiti, sfruttando il Mugello e soprattutto Fiorano, la pista privata di casa.
Tutto ciò richiedeva enormi investimenti, ma vincere aveva la precedenza su qualsiasi conto economico. Col tempo, però, la Ferrari rinunciò progressivamente a quelle armi. L’introduzione del fornitore unico di pneumatici e la limitazione sempre più stringente dei test cancellarono due dei principali vantaggi che avevano alimentato il dominio rosso.

Nonostante le difficoltà, Piero Ferrari sottolinea come a Maranello sia ancora vivo l’orgoglio di appartenere alla Scuderia: “Lo spirito è rimasto intatto. I nostri uomini, anche fuori dall’orario di lavoro, portano con fierezza la divisa. Essere parte della Ferrari significa qualcosa di unico”.
Tuttavia, la realtà dei fatti non può essere ignorata. Il tetto di spesa era diventato una condizione necessaria per garantire la sopravvivenza della Formula 1, in un periodo in cui la maggior parte delle squadre si muoveva a un passo dalla bancarotta. Così, anche l’ultimo grande vantaggio della Ferrari – la possibilità di spendere più degli altri – è svanito. In un campionato che ora offre a tutti strumenti simili, Maranello deve affrontare una sfida completamente diversa: vincere con le stesse armi degli avversari.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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