GP Messico 2025 – Norris raggiunge in classifica un Piastri in difficoltà, gettando nella disperazione chi non vuole Lando campione del mondo, tra cui la sottoscritta. Di seguito un highlights di commenti sui fatti rilevanti del weekend.
Le gomme Pirelli: la mescola consigliata dal produttore è quella di colore giallo, il primo stint di Verstappen è stato però un mezzo incubo in cui la gestione del pilota ha fatto una discreta differenza. Gli altri tutti con mescola rossa. Sempre un gran successo.
Hamilton: non avrei mai pensato di sentire un suo team radio per chiedere se gli altri piloti che hanno imbrogliato (voce del verbo “to cheat”) sono stati penalizzati. Nelle interviste rincara la dose adducendo un doppio standard che i commissari applicano nei propri giudizi. È come vedere Barbara d’Urso davanti alla giuria di Ballando con le Stelle dissociarsi dalla parola “trash”.
Se c’è un pilota che dal 2007 è protetto dai doppi standard questo è proprio Sir Lewis Hamilton. Il sorpasso sotto Safety Car nel GP di Valencia 2010 ha preso una penalità inferiore a quella del GP messicano, 5 secondi contro 10. Una condotta decisamente più grave e più pericolosa del taglio di una pista. Ricordo bene quando tagliò l’isola per entrare nei box, chiamato in ritardo da Bono: nessuna penalità.
C’è stato un momento in cui Hamilton (e Mercedes) ha fatto il bello e il cattivo tempo, vedi le PU che bruciavano olio. Ha fatto persino finta di andare a Disneyland nel 2013 mentre era a testare la Mercedes a Barcellona. Siccome non impara nulla dalla storia, non solo sua ma neanche da quella degli altri, ora va a dire in giro che la prossima vettura avrà le sue preziose indicazioni. Sappiamo già come andrà l’anno prossimo. Sic transit gloria mundi.

Verstappen: al ring delle interviste non si lamenta della VSC finale, avendo in altre occasioni beneficiato di VSC o Safety Car. Limita i danni e mantiene aperta la porta per una piccola possibilità di rimonta mondiale. Come diceva Domenicali da TP Ferrari negli anni che furono, i punti si contano ad Abu Dhabi.
La sicumera di Russell: la caratteristica comune dei piloti inglesi moderni è quella di lagnarsi alla radio in continuazione. Anni fa Hamilton sentiva le vibrazioni, ora fa il giudice di gara; Russell passa qualche giro a contestare una posizione che Verstappen, a suo dire, dovrebbe restituire senza alcuna logica, e uno scambio di posizioni con Antonelli nonostante le prestazioni fossero alla fine identiche. Non c’era Toto nei box e si è sentita la mancanza. Adesso capisco perché ci ha messo un po’ di tempo a rinnovargli il contratto, come biasimarlo.
I rookie: dicesi “esordiente” in italiano, in Formula 1 vengono chiamati così i piloti nella loro prima stagione, almeno fino a una settimana fa. Bearman, Bortoleto e Antonelli fanno un bel weekend e fa piacere vedere dei giovani acquisire sempre più esperienza.
I rookie stagionati 36 mesi: non sarebbe possibile rimanere in F1, specialmente nei top team, se non si dimostrasse una velocità fuori dal comune. L’esempio di Ricciardo è emblematico: nonostante l’ingaggio importante e la sua esperienza, le sue prestazioni scarse hanno indotto McLaren a pagare una penale per svincolarlo piuttosto che continuare la collaborazione.
Piastri è sicuramente un pilota veloce, ma non basta esserlo per vincere un mondiale. Anche Barrichello era un pilota veloce, ma senza costanza e freddezza, quella che aveva invece Schumacher. Idem per Nico Rosberg, un pilota molto veloce, ma che dopo aver conquistato il mondiale 2016 ha deciso di ritirarsi, consapevole del fatto che la tenuta mentale che ha avuto in quella stagione non sarebbe mai più tornata.
Non servono dietrologie o complotti per spiegare il calo di prestazioni di Piastri, ma semplicemente il cronometro; non sarebbe neanche un dramma sentire la pressione per una situazione che non hai mai provato ma che per forza di cose devi affrontare se il tuo obiettivo è quello di vincere campionati. La stessa situazione in cui si sono trovati Alonso, Hamilton, Verstappen.
Il fatto di avere la macchina più forte può portare ulteriore pressione, siccome tutti si aspettano da te la vittoria facile, che facile non è mai. Nella scorsa settimana alcune voci hanno cercato di “scusare” questo calo di rendimento di Piastri definendolo un “rookie” senza esperienza in queste dinamiche. Un giornalista su X non ha nascosto il fatto che, a suo parere, chi non è d’accordo con quest’idea ne capisca poco di questo sport.

Invidio sempre chi ha tutta questa certezza sulle cose della vita, poiché personalmente ne sono alquanto sprovvista, specialmente in questo periodo. Nessuno ha mai definito come un rookie Vettel nella stagione 2010, eppure di errori in quel mondiale ne fece; da quella stagione vinse fino al 2013 accrescendo sempre la propria sicurezza in sé stesso e nei propri ottimi mezzi.
Vettel, a mio avviso, non è il miglior pilota di quegli anni, come probabilmente non lo è neppure Piastri, ma cercare di difenderlo in questi termini è paradossalmente più deleterio per Piastri. Per vincere un mondiale bisogna fare quello switch mentale che può solo avvenire se ti trovi di fronte alla montagna da scalare e non per anzianità accumulata.
Quelli che ridiventano rookie: si dice che con il tempo si possa persino tornare vergini, e allora dopo diciannove anni senza un mondiale – ahimè – Alonso può considerarsi un neofita sotto ogni punto di vista. Un weekend piuttosto nero per il giovane Fernando, con una Aston Martin senza ritmo alcuno. L’inquietudine aumenta leggendo le dichiarazioni di Cardile e soci su un 2026 “da protagonisti”: suona un po’ come quando prometti di iniziare la dieta lunedì, un presagio di disastro annunciato aleggia.
A questo punto, l’unica speranza resta Newey. Sempre che non decida anche lui di “fare il rookie” e ritornare a livello stagista alle prime armi. Il weekend messicano ha confermato una regola d’oro della F1: la pressione può trasformare un pilota di esperienza in rookie in un attimo. Norris ne esce sorridente, Piastri un po’ meno.
Crediti foto: F1, McLaren, Aston Martin
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