Di fronte alla tempesta che scuote la Federazione Internazionale dell’Automobile, Mohammed Ben Sulayem continua a sorridere. Ma dietro quella piega nel volto si cela una realtà ben più complessa: il presidente è sotto assedio, la sua leadership incrinata, e un’elezione alle porte che rischia di diventare un referendum sul suo stesso operato.
La miccia è stata accesa in Bahrain, ma l’esplosione è solo l’ultima di una lunga serie di boati frastornanti. Robert Reid, fino a poco fa vicepresidente della FIA, ha sbattuto la porta denunciando “una rottura fondamentale degli standard di governance”. Lo abbiamo raccontato nei giorni scorsi: leggi qui.

Le sue parole sono pesanti come macigni. L’ormai ex dirigente ha pubblicamente lamentato e denunciato processi decisionali torbidi, assenza di confronto e un clima di crescente sfiducia all’interno dell’organo di governo mondiale del motorsport con sede a Place de la Concorde. Non si è trattato di una semplice divergenza di vedute: è stato un atto d’accusa in pieno stile.
A fare eco a Reid, è giunta anche la minaccia legale di David Richards. Il presidente del motorsport britannico – un tempo sostenitore di Ben Sulayem – ha definito “inaccettabile” l’imposizione di un accordo di non divulgazione che sa tanto di bavaglio. Un silenzio imposto che, secondo Richards, mina le basi stesse della trasparenza del gruppo transaplino. La misura, evidentemente, è colma. La guerra mediatica ora rischia di trasformarsi in un selciato ricoperto di carte bollate di color porpora.
Nel frattempo, il presidente in carica resiste e ha già annunciato l’intenzione di ricandidarsi a dicembre per un secondo mandato. Ma intorno a lui il terreno si fa instabile e friabile. Ufficialmente, nessun rivale si è ancora fatto avanti. Ufficiosamente, le voci corrono. Joe Saward, scafato giornalista inglese, fa trapelare un’indiscrezione clamorosa: un possibile sfidante potrebbe arrivare dall’area Mobilità della FIA, una delle componenti più influenti e meno esposte dell’intera struttura federale.

Nomi? Nessuno, per ora. Ma i segnali sono evidenti. Il tipico silenzio strategico che avvolge le grandi manovre pre-elettorali non è sinonimo di calma, ma di attesa. E se davvero si aprisse la corsa alla presidenza, Ben Sulayem dovrebbe temere non solo le critiche esplicite, ma anche i dossier latenti: l’arbitrato con Hitech, la querelle con Susie Wolff (altro nome emerso recentemente in chiave FIA ma che sembra sgonfiarsi per via di un possibile conflitto di interessi), il malcontento serpeggiante dei piloti e dei team per il giro di vite sul codice etico.
Il potere, quando traballa, sa essere crudele. I vecchi sostenitori di Mohammed Ben Sulayem scappano perché sentono l’acre odore della disfatta. Il manager emiratino lo sa e prova a reagire attaccando. Il conto alla rovescia è iniziato, i giorni dell’ex rallista sembrano essere contati. Riuscirà a rimanere in sella con un colpo di coda?
Crediti foto F1, FIA