Yuki Tsunoda continua a parlare di progressi, ma la pista racconta un’altra storia. Anche al Gran Premio d’Ungheria, il giapponese si è ritrovato a inseguire senza mai vedere la vetta. Fuori al primo taglio delle qualifiche, relegato ancora una volta in coda allo schieramento e poi penalizzato da una partenza dalla pit lane per il cambio di componenti sulla power unit, il fine settimana dell’Hungaroring si è trasformato in una lunga agonia conclusa al diciassettesimo posto. Nessun sorpasso da ricordare, nessuna rimonta, nessun lampo. Encefalogramma sportivo piatto.
L’ex Racing Bulls ha attribuito la prestazione deludente a un danno all’ala anteriore subito a metà gara, che avrebbe compromesso il bilanciamento e cancellato ogni speranza di scelta strategica efficace. “Una volta che abbiamo perso il lembo dell’ala, la gara era finita”, ha dichiarato dopo l’evento magiaro. Ma la realtà è che i limiti emersi sembrano precedere l’episodio tecnico. Perché se Verstappen, pur in una delle sue gare più difficili dell’anno, ha comunque chiuso al nono posto, Tsunoda non ha mai avuto il ritmo per avvicinarsi alla zona punti. La distanza resta ben visibile.

Eppure, nelle dichiarazioni post-gara, il giapponese ha continuato a sottolineare che “il divario con Max continua a ridursi” e che sulla carta “siamo a un solo decimo”. Un’affermazione che cozza con l’evidenza cronica: Tsunoda non segna punti da sette gare, ha solo tre arrivi in top ten da quando è entrato nel team ufficiale Red Bull, e in gara – dove si misura il vero valore – non riesce a tenere il passo del compagno di squadra. Le parole non bastano più. La pista ha già dato il suo verdetto.
A peggiorare il bilancio, anche un secondo richiamo – nemmeno troppo velato – a problemi di comunicazione interna. Come già accaduto a Spa-Francorchamps, anche in Ungheria il giapponese ha fatto intendere di essere stato penalizzato da scelte tardive o imprecise del muretto. “Nelle ultime due gare ci sono state situazioni che ci sono costate punti. Sta iniziando a diventare molto frustrante”, ha dichiarato. Ma quando gli episodi si ripetono, diventa lecito domandarsi se il problema sia solo esterno.
E qui si apre il vero nodo: la sensazione crescente che Tsunoda stia perdendo contatto non solo con Verstappen, ma anche con il ruolo che gli era stato assegnato all’interno della squadra. Dopo aver ricevuto gli aggiornamenti al fondo a partire da Spa, e con una vettura sulla carta identica a quella del quattro volte campione del mondo, ci si attendevano segnali chiari. Non sono arrivati. Nessun progresso visibile, nessuna costanza. Solo frustrazione crescente, gestita a parole ma non risolta nei fatti.
Dieci punti in tutto il campionato – tre con Racing Bulls, sette con la squadra austriaca – raccontano una storia di occasioni sprecate. Il nono posto in Bahrain resta il miglior piazzamento in gara, mentre i due sesti posti ottenuti nelle sprint Sprint sembrano ormai lontani e poco indicativi. Anche perché, da quando la competizione si è fatta più serrata e i riferimenti più stabili, Tsunoda è scomparso dai radar.

Ora arriva la pausa estiva e il pilota ha già annunciato che la passerà in fabbrica, al simulatore (nei giorni in cui gli sarà consentito perché c’è una chiusura forzata da rispettare), per “capire dove abbiamo sbagliato e ripartire forti nella seconda parte di stagione”. Una dichiarazione di intenti apprezzabile, ma che suona come un disco rotto. L’impressione, sempre più netta, è che l’opportunità concessagli da Red Bull non sia stata capitalizzata. E il confronto con Verstappen, che avrebbe dovuto stimolare crescita e maturazione, ha finito per evidenziare i limiti.
Tsunoda è un pilota che possiede velocità, ma la Formula 1 non aspetta. Se non riuscirà a trasformare le parole in risultati, il rischio è che a Milton Keynes qualcuno lo bandisca dai progetti futuri. Senza la protezione di Honda che migrerà in Aston Martin è molto difficile che il pilota nipponico conservi il suo posto in Red Bull. E forse anche nella controllata VCARB.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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