C’è un dato che oggi nessuno può più ignorare: se il Campionato del Mondo di Formula 1 2025 è ancora vivo, lo si deve esclusivamente alla McLaren. In un’epoca in cui la competizione rischia di annichilirsi dietro alla dittatura di una sola vettura e di un solo uomo, è la scuderia di Woking a tenere accesa la fiamma dell’imprevedibilità.
Dopo il Gran Premio di Gran Bretagna, la classifica parla chiaro: la concorrenza è stata letteralmente spazzata via, solo Lando Norris e Oscar Piastri sono lì, vicini abbastanza da sognare il titolo, vicini abbastanza da temersi reciprocamente. Vicini abbastanza da creare quelle scintille che sono l’anima di una serie così competitiva come lo è il Circus Iridato.

La F1 salvata dal modello McLaren
In una Formula 1 dove sempre più frequentemente la seconda guida si trasforma in una comparsa al servizio del protagonista, la McLaren ha sovvertito la logica che ha imperato – e non certo per la prima volta – dal 2021. Non un uomo solo al comando, ma una coppia di piloti giovani, affamati e – dettaglio non trascurabile – liberi di correre. È una scelta controcorrente rispetto al modello Red Bull, ma anche profondamente sportiva. Una decisione che Liberty Media dovrebbe elevare a modello, anche se la domestic jurisdiction impone la non ingerenza negli affari interni di una scuderia. Se la Red Bull avesse imbastito una coppia piloti equilibrata, forse anche il 2023 non sarebbe passato alla storia come uno degli anni più soporiferi del XXI secolo.
La memoria, in tal senso, ci riporta ai giorni incandescenti del duello interno in Mercedes tra Lewis Hamilton e Nico Rosberg, quando la superiorità della monoposto di Brackley era tale da ridurre la concorrenza a mero orpello scenico, ma la sfida interna manteneva la narrazione incandescente. Rosberg contro Hamilton era un dramma sportivo in continuo divenire, un’opera teatrale ad alta velocità. McLaren, oggi, sta replicando quella tensione narrativa, ma con un’ulteriore nobiltà: l’aver riportato in auge un concetto da tempo svanito nel nulla dell’efficienza tecnica: la sana rivalità tra pari meriti e pari mezzi.
Il paradosso è che la salvezza di questo campionato non nasce dalla FIA, né dalle direttive tecniche, né da un colpo di reni regolamentare, ma dal coraggio gestionale di una squadra. È la McLaren capitanata da Andrea Stella ad aver restituito alla Formula 1 quella dignità competitiva che troppi team, con i loro sistemi gerarchici asfissianti, hanno smarrito.
In questa luce, l’incapacità della concorrenza appare inaccettabile. La Ferrari, bloccata in un limbo tecnico e psicologico, continua a oscillare tra timide speranze e ricadute dolorose. La Mercedes paga ancora i debiti tecnici contratti nelle annate precedenti. La Red Bull è alla ricerca della sua anima dopo l’addio di Adrian Newey e lentamente scivola in un limbo che, nel 2026 e in virtù dei nuovi regolamenti tecnici accompagnati dalla produzione di un motore fatto in casa, la potrebbero portare addirittura nel baratro.
E qui emerge il nodo irrisolto della moderna Formula 1: regole troppo stringenti e uno sviluppo tecnico castrato da limiti imposti da un sistema che si illude di livellare le performance comprimendo la creatività. Budget cap, tagliole sull’Aerodynamic Testing Restriction (ATR) e un calendario massacrante hanno trasformato la rincorsa tecnica in un miraggio. In questo contesto, chi sbaglia all’inizio, è condannato. Chi indovina la direzione, può blindare il vantaggio. L’effetto domino è inevitabile: i distacchi si congelano, la griglia si cristallizza e la narrazione si appiattisce.
La McLaren, invece, ha dimostrato che si può ancora osare. Non solo sul fronte tecnico dove l’evoluzione della già forte MCL38 si è dimostrata sublime nella dominante MCL39 – ma anche su quello umano, lasciando che due personalità complesse e competitive si esprimano liberamente. Non c’è “numero uno” a Woking, non c’è chi deve alzare il piede in nome di una strategia aziendale. C’è solo la gara, nella sua forma più pura e feroce. E in una stagione che avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesimo monumento all’inevitabile del singolo, è questa libertà interna ad aver riscritto la trama.

A Liberty Media, dunque, non resta che inchinarsi. Se oggi le curve del Red Bull Ring, di Silverstone, di Monaco, di Monza o di Spa-Francorchamps risuonano ancora di passione e incertezza, è grazie a una squadra che ha scelto di non scegliere tra i suoi piloti. Che ha creduto nella competizione interna come antidoto alla monotonia esterna. Che ha voluto, in fondo, onorare la Formula 1 per ciò che dovrebbe essere: una lotta ad armi pari, non un palcoscenico per un solo attore.
E allora diciamolo: grazie, McLaren. Per aver salvato il mondiale. Per aver creduto nel duello. Per averci restituito il privilegio di assistere non a una marcia, ma a una sfida.
Crediti foto: McLaren F1
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