Nel paddock di Austin, tra motorhome lucidi e interviste fotocopia, c’è un tema che sembra aver oscurato persino i tempi sul giro: le “Papaya Rules”. Due parole che sono diventate un tormentone, hashtag, mistero da decifrare. Eppure, dietro quel nome evocativo, ma musicalmente pesante, non c’è alcun segreto industriale o nuova filosofia di squadra, ma semplicemente un codice di condotta interno che regola il comportamento in pista dei due piloti McLaren, Oscar Piastri e Lando Norris.
Zak Brown ha provato a spiegarlo con tono pacato e un po’ seccato: “Alla fine siamo a un evento sportivo e non possiamo necessariamente dire tutto a tutti. Le nostre cose non possono essere necessariamente rese pubbliche”. Parole di buon senso, ma che hanno acceso un dibattito sproporzionato. E che, diciamolo fuori dai denti, sta stancando.
Il CEO della McLaren ha chiarito che l’obiettivo del team è solo evitare incidenti tra compagni di squadra in lotta per il campionato: “Vogliamo solo assicurarci che, mentre corrono duramente, non si uniscano. È un rischio per loro e per la squadra”. Un concetto logico, quasi banale. Eppure, tanto è bastato per far nascere un caso.

McLaren, Papaya Rules e Il rumore del nulla
L’incidente fra Norris e Piastri a inizio del Gp di Singapore – definito dallo stesso Brown “piuttosto minore” – è stato trattato come un affronto politico, come se a Woking fosse stato scritto un nuovo codice segreto destinato a cambiare le sorti della Formula 1. Le “Papaya Rules”, così ribattezzate dai media, sono diventate un pretesto per una narrazione che sa di vuoto più che di sostanza.
Brown, incalzato sull’argomento, ha persino dovuto ribadire che le eventuali “conseguenze” per Norris resteranno private: “Non vogliamo entrare in questo. Penso che si tratti di affari interni”. Ma è bastata questa riservatezza per alimentare ancora di più la curiosità, come se dietro il riserbo della McLaren si nascondesse un segreto scottante.
In realtà, non c’è nessun intrigo. C’è solo una Formula 1 che non riesce più a reggere il silenzio. Che ha bisogno di “drama”, di piccoli scandali, di codici inventati per riempire il tempo morto tra un Gran Premio e l’altro. Le regole papaya sono diventate l’ennesimo esempio di come il racconto della F1 moderna non nasca più dai duelli in pista, ma dai dettagli fuori contesto, amplificati da una macchina mediatica che ha smarrito la misura.
Papaya Rules – Un riflesso della F1 di oggi
È difficile non vedere, in questo caso, uno specchio del momento storico della Formula 1. L’attenzione maniacale ai “team order”, alle penalità, ai limiti pista e ai codici interni è ormai il modo in cui lo sport cerca di tenere alta la tensione. Non con l’imprevedibilità della lotta, ma con la costruzione artificiale del sospetto.
McLaren, suo malgrado, è finita nel mirino proprio perché funziona: perché è tornata competitiva, perché ha due piloti forti, perché ha reso il duello per il titolo qualcosa di reale. Ma invece di esaltare il lavoro tecnico, la coesione del gruppo o la crescita del progetto, l’attenzione si concentra sul “non detto” tra Norris e Piastri. Come se la cronaca sportiva non bastasse più a spiegare il presente.
Brown lo sa e cerca di mantenere il profilo basso, ma ogni parola, ogni silenzio, viene ormai interpretato come una dichiarazione d’intenti. Il paddock è diventato un ecosistema dove il gossip vale più della telemetria, dove i regolamenti interni contano più delle strategie in gara.

Il silenzio come notizia
Alla fine, la vera notizia non è che la McLaren abbia un codice di comportamento interno – tutte le squadre ce l’hanno – ma che la F1 abbia bisogno di trasformarlo in romanzo. Le “Papaya Rules” sono un sintomo, non una causa. Il sintomo di uno sport che, nella ricerca ossessiva di contenuti, ha finito per confondere la sostanza con la superficie.
C’è troppa attenzione su ciò che si dice e troppo poca su ciò che si fa. Troppo rumore per nulla, in un mondo dove anche il silenzio diventa materiale di discussione. E forse è proprio questo il vero problema: non le “Papaya Rules”, ma una Formula 1 che, pur correndo sempre più veloce, ha sempre meno da raccontare.
Crediti foto: McLaren F1
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