Da oltre cento a quaranta. In poche gare, Max Verstappen e la Red Bull, con una reazione tecnica che pareva impossibile, hanno trasformato quello che sembrava un abisso in una distanza colmabile, rimettendo il Campionato del Mondo Piloti sotto una luce nuova e del tutto inattesa. Quando il conto alla rovescia dice cinque – Messico, Brasile, Las Vegas, Qatar e Abu Dhabi – la rimonta non è più un sogno irrealizzabile.
È una prospettiva concreta, alimentata da un trend tecnico e mentale che sembra aver invertito le gerarchie di inizio autunno. Lo ha ammesso a chiare lettere Helmut Marko prima del GP, lo ha ribadito l’olandese che al termine del weekend di Austin ha tagliato una somma spaventosa di punti dalla vetta.

La Red Bull RB21, che a un certo punto della stagione pareva un progetto in declino, persa tra sviluppi inefficaci e scelte d’assetto non sempre puntuali, ha ritrovato vita, velocità e consistenza. E soprattutto ha messo il “cannibale” di Hasselt nella condizione di poter guidare come gli piace: anteriore puntato e preciso, posteriore che lo asseconda.
Il nuovo fondo, introdotto con intelligenza per recuperare carico nella zona centrale della vettura, ha migliorato la stabilità in ingresso curva e la gestione del posteriore in trazione. L’ala anteriore rivista ha poi affinato il bilanciamento generale e annullato il sottosterzo, permettendo a Verstappen di ritrovare quella connessione istintiva con la monoposto che era sembrata perduta. È la combinazione che ha riportato la Red Bull a comandare nei tratti misti e nei cambi di direzione, terreni su cui la McLaren aveva costruito il proprio dominio.
E proprio da Woking arrivano i segnali più preoccupanti. La MCL39, nata bene e cresciuta in modo esponenziale fino alla pausa estiva, sembra aver perso lo slancio. Gli ingegneri hanno scelto la via della prudenza, convinti che il margine accumulato fosse sufficiente per chiudere i conti con calma.
Ma la Formula 1 non perdona chi smette di innovare: mentre Red Bull affinava senza fare calcoli con i regolamenti 2026, McLaren congelava. La decisione di non introdurre più aggiornamenti rilevanti da Monza in poi, puntando tutto sull’amministrazione, ha di fatto bloccato lo slancio. E ora che Woking ha il fiato sul collo, quella stabilità che pareva un punto di forza si sta trasformando in un limite.

Oscar Piastri, in particolare, sembra il simbolo del momento: il giovane australiano, tanto brillante a inizio e metà stagione, ora appare opaco, distante, incapace di incidere davvero. Lando Norris regge, ma il peso di una McLaren meno efficace e di una Red Bull rinvigorita sta lentamente ribaltando le prospettive.
Verstappen, al contrario, è tornato il predatore. Guida con la calma di chi sa che la matematica non è più un ostacolo, ma un’opportunità. Non ha nulla da perdere, mentre la McLaren, incatenata nelle sue ferree regole interne, ha tutto da difendere: è questa la differenza che, spesso, decide i campionati.
Cinque piste, cinque scenari diversi: l’altitudine del Messico, la variabilità di Interlagos, la specificità notturna di Las Vegas, il calore del Qatar e la solennità di Abu Dhabi. Terreni dove l’esperienza e la lucidità possono pesare più di un decimo di passo. Woking, che a fine estate festeggiava la doppietta nel Costruttori, ora vede ombre allungarsi sul suo trionfo. La paura, si sa, è un sentimento che viaggia veloce, anche in Formula 1. E questa volta, la paura fa… 40.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, McLaren F1
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