C’è un paradosso che aleggia sulla Formula 1 in questa stagione 2025: la McLaren ha costruito la monoposto più veloce della griglia, ha già archiviato il Mondiale Costruttori con largo anticipo, eppure rischia di tornare a Woking con un pugno di mosche per quanto riguarda il titolo che conta davvero, quello piloti. E la colpa non è della MCL39, autentico gioiello ingegneristico, ma di una gestione sportiva che oscilla pericolosamente tra l’ingenuità e l’autolesionismo.
Le papaya rules, un pacchetto buone maniere ed educazione spicciola
Le famigerate papaya rules – regolamento interno che il team di Zak Brown ha voluto imporre ai propri piloti – sono la materializzazione perfetta di un concetto nobile sulla carta, disastroso nella pratica. Oscar Piastri e Lando Norris vengono posti “sullo stesso piano”, con una parità di trattamento che, in teoria, dovrebbe esaltare il fair play ma, nel pratico, sfocia nel ridicolo.
La Formula 1 non è uno sport dove si vince con le buone maniere
Il culmine di questa filosofia si è raggiunto con l’episodio che ha dell’incredibile: se uno dei due piloti subisce un problema durante il pit stop – quindi per un errore del team, non del pilota – l’altro è tenuto a rallentare e restituirgli la posizione. Una follia? Forse peggio: un suicidio sportivo. Una manovra, avvenuta durante il GP d’Italia, che manda in frantumi ogni logica competitiva.
Il risultato di questo modus operandi? Punti buttati al vento, occasioni sprecate, tensioni e pressioni assurde sui due piloti e una classifica piloti che si è riaperta in modo imbarazzante. E mentre i due ragazzi in papaya si scambiavano cortesie e gestivano con il bilancino ogni sorpasso, Max Verstappen – che di cortesie non ne fa a nessuno – è tornato a vincere e ora è lì, sul loro collo, pronto a beffarli entrambi.
Il vero campione sa quando essere spietato
Perché questo è il punto: la Formula 1 non premia i gentiluomini, premia i killer. Premia chi ha quella dose di egoismo sano, di ferocia agonistica, di spietatezza necessaria per chiudere la porta quando serve, per non cedere un millimetro, per mettere davanti a tutto la vittoria. Le brutte intenzioni e la maleducazione sono esattamente quello che serve per vincere un Mondiale. Non la scorrettezza, intendiamoci, ma quella durezza mentale che trasforma un pilota veloce in un campione.
Un turning point cruciale per la storia di McLaren
La McLaren deve decidere cosa vuole essere: un simpatico club di piloti educati che si applaudono a vicenda, o una scuderia che ha fame di titoli? Perché con una macchina così dominante, sprecare l’occasione del Mondiale piloti non sarebbe solo un peccato, sarebbe un fallimento storico.
Stella di costruttori ne ha già vinti due. Adesso bisogna scegliere un gallo nel pollaio, dargli via libera, e fallo combattere. Prima che sia troppo tardi.
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