In Formula 1 si alternano due modelli di gestione dei piloti: quello a una punta, con una superstar intorno alla quale ruota tutto il team, e quello a due punte, con i conducenti che hanno pari opportunità sia tecniche che sportive. Nella stragrande maggioranza dei casi, le scuderie adottano questo secondo paradigma almeno nelle fasi iniziali del campionato e fin quando non è la classifica a definire il caposquadra su cui puntare per massimizzare i punti in classifica. C’è un solo gruppo che, invece, adotta in maniera integrale lo “schema pivotale”: la Red Bull. E lo fa con Verstappen.
Quando a Milton Keynes hanno capito di avere tra le mani un fenomeno come Max, hanno applicato senza indugi la ferrea regola in base alla quale si lavora per l’uno sacrificando il compagno di squadra. A dire il vero, questo tipo di rappresentazione si aveva anche con Sebastian Vettel, che non per fatalità ha portato a casa quattro titoli iridati, avendo come compagno di squadra un Mark Webber veloce ma certamente non ai livelli del tedesco.
Max Verstappen: il tritura-avversari
Con l’avvento di Verstappen ci si è spinti addirittura oltre. Accanto all’olandese, infatti, non è mai stato presentato un pilota che fosse in grado di infastidirlo, eccezion fatta per quel Daniel Ricciardo che, dopo aver abbandonato la Red Bull, è entrato in una fase di catatonia sportiva al culmine della quale è arrivato l’inevitabile addio alla Formula 1.
Pierre Gasly, Alex Albon e Sergio Perez, questi i colleghi post-Ricciardo, non hanno la cifra tecnica alla quale è giunto il pilota di Hasselt, che infatti ha vinto senza problemi un duello interno favorito anche da condizioni operative molto vantaggiose e da monoposto sviluppate per sublimare il suo stile di guida.
Non lo diciamo noi, lo hanno ammesso a più riprese sia i rappresentanti amministrativi della scuderia sia i tecnici che hanno lavorato alle vetture che, in questi anni, hanno permesso a Max di fare man bassa di titoli iridati.

Red Bull: l’ingrato compito che spetta a Liam Lawson
Per il campionato 2025, Helmut Marko, il responsabile dell’academy Red Bull, ha deciso di puntare su Liam Lawson, scartando l’altro pilota della VCARB, Yuki Tsunoda, che sicuramente ha più esperienza e probabilmente un bagaglio tecnico più corposo rispetto a quello del neozelandese. E già questa scelta è indicativa di quali siano le strategie prese ai livelli più alti.
Già durante il campionato si era capito l’andazzo, poiché i manager della scuderia anglo-austriaca avevano scartato l’ipotesi Carlos Sainz, che per lungo tempo era stato in lizza per occupare il secondo sedile della Red Bull. Ma ingaggiare l’ex ferrarista avrebbe significato mettere in discussione quel pattern che così bene ha funzionato.
La Red Bull accetta in maniera scientifica di massimizzare le prestazioni dell’uno a scapito del compagno di squadra. Questo, nel 2024, ha fatto sì che il team non fosse competitivo nella lotta al titolo costruttori, arrivando addirittura terzo dopo due anni di dominio totale. Tuttavia, la scuderia del gruppo austriaco non è un colosso dell’automobile, bensì un’azienda che si occupa di tutt’altro.
Per questa ragione, il costruttori non è la priorità: è il titolo piloti quello che dà maggior visibilità e lustro al marchio Red Bull. Ecco perché la scuderia diretta da Christian Horner accetta di essere più debole nella coppa riservata ai team per riversare tutte le risorse finanziarie, temporali e sportive sul singolo.
Lawson accetta di essere un ingranaggio di un meccanismo più complesso, sperando di non sfigurare troppo nei confronti di Verstappen. Marko ha voluto chiarire ulteriormente quale sia la posizione del pilota che ha sostituito due volte Ricciardo nella controllata faentina:
“Liam dovrà accettare che Verstappen è il migliore. Vedremo quanto riuscirà ad avvicinarsi, ma non dovrebbe salire in macchina con l’obiettivo di battere Max Verstappen. È andata storta con tutti i suoi compagni di squadra“, ha detto l’ex pilota di Graz a Sport.de.
“Dovrebbe riuscire a stare entro i tre decimi da Max sia in qualifica che in gara. Questo dovrebbe essere sufficiente per accumulare punti per il campionato costruttori. A poco a poco dovrà migliorare il più possibile, ma tenendo sempre conto che sta guidando con il miglior pilota di F1 del momento“, ha aggiunto.
“Nel fare ciò, non dovrebbe essere coinvolto nell’aspetto tecnico, come l’assetto e le strategie, ad esempio, qualcosa che altri compagni di squadra hanno fatto in passato“.
L’ultimo passaggio spiega con ancora più chiarezza quale sia il ruolo di Lawson all’interno della scuderia. Il pilota dovrà quindi apprendere le dinamiche operative senza incidere troppo in questioni tecniche e strategiche. Tradotto in termini meno diplomatici, ciò significa che Lawson avrà un margine operativo abbastanza stretto e dovrà limitarsi a stare in scia di Verstappen entro un gap che Red Bull quantifica in circa tre decimi. La storia recente, però, insegna che non è affatto semplice galleggiare in questa quota e che il rischio di perdere posizioni in griglia e punti preziosi in gara è molto elevato.

In siffatte condizioni operative, è difficile che un team come Red Bull possa automaticamente essere considerato il soggetto da battere in chiave costruttori. Ma proprio questo modello favorisce la squadra nella lotta al titolo piloti, che è ciò che davvero conta, come abbiamo spiegato in precedenza.
Il 2025, quindi, rischia di essere potenzialmente un anno difficile per Lawson. Tutto dipenderà da quanta pazienza avranno Marko e Horner, che non sono nuovi a ribaltoni in corsa. Yuki Tsunoda e Isack Hadjar sono in agguato e potrebbero, in ogni momento, prendere il posto di chi non rispetta i programmi stilati nelle segrete stanze.
Di converso, potrebbe proprio essere l’asticella piazzata abbastanza in basso a permettere a Lawson di crescere gradualmente per definirsi a tutto tondo nel ruolo per il quale è stato chiamato in Red Bull: essere una comoda spalla di Max Verstappen senza infastidirlo.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, Sergio Perez