È ormai passato più di un anno da quando le strade di Mattia Binotto (che ora lavora in TEXA Spa) e della Ferrari si sono separate. La Rossa, senza il suo vecchio condottiero, sta conoscendo una seconda giovinezza sotto le cure di Frédéric Vasseur. Ma perché il matrimonio di lungo corso tra i due soggetti si è spezzato? I motivi sono diversi, proviamo ad analizzarli.
“Con il dispiacere che ciò comporta, ho deciso di concludere la mia collaborazione con Ferrari F1. Lascio un’azienda che amo, della quale faccio parte da 28 anni, con la serenità che viene dalla convinzione di aver compiuto ogni sforzo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Lascio una squadra unita e in crescita”.
“Una squadra forte, pronta, ne sono certo, per ottenere i massimi traguardi, alla quale auguro ogni bene per il futuro. Credo sia giusto compiere questo passo, per quanto sia stata per me una decisione difficile. Ringrazio tutte le persone della Gestione Sportiva che hanno condiviso con me questo percorso, fatto di difficoltà ma anche di grandi soddisfazioni“.
Con queste parole Mattia Binotto aveva concluso una storia professionale e umana lunghissima. Un comunicato onesto, che trasudava passione, spirito di abnegazione e amore. Perché possiamo sperticarci in ogni analisi e valutazione critica, ma non potremo mai negare il legame ferreo che l’ingegnere nativo di Losanna ha avuto con una scuderia che è stata prima mamma e poi palestra e guida professionale.
Un messaggio limpido, quindi, che stride con le modalità espressive che l’ex numero uno della Gestione Sportiva ha mantenuto nel corso dell’ultimo anno di lavoro per il Cavallino Rampante e che potrebbero essere una delle motivazioni che hanno logorato il rapporto portandolo alla rottura.
Rottura Ferrari – Binotto: una lunga sequela di contraddizioni mediatiche
Quando un matrimonio termina le colpe non insistono mai da un solo lato. Questo scritto intende evidenziare soprattutto i difetti comunicativi di cui si è reso protagonista l’ex capo delle cose sportive della franchigia di Maranello. Perché sbagliare è lecito ed umano. Meno saggio è perdersi in argomentazioni che la storia ha smentito in maniera piuttosto evidente. Cinque i punti che hanno logorato il rapporto.
- Rottura Ferrari – Binotto: obiettivi stagionali repentinamente mutati
“Di sicuro questa è una monoposto in cui abbiamo messo il meglio di noi, lo sanno Charles e Carlos, lo sappiamo tutti noi. […] Questa è una Ferrari che voglio definire coraggiosa. Abbiamo voluto interpretare, è evidente, il nuovo regolamento in modo diverso. […] Ora dobbiamo misurarci con gli avversari, è la sfida più bella e che rende il nostro lavoro così affascinante”.
“Con la F1-75 vogliamo lottare in pista a ogni gara e ad ogni gran premio, metro su metro con i nostri avversari, anche per gli obiettivi più alti. Abbiamo una responsabilità verso la nostra azienda e i nostri partner e soprattutto vorrei che fosse la monoposto che consentirà ai nostri tifosi e a noi di essere orgogliosi della nostra Ferrari”.
Quello su riportato è un estratto delle parole che Mattia Binotto aveva proferito il 17 febbraio del 2022, il giorno in cui sono caduti i veli dalla F1-75 , l’arma che doveva provare a riportare i titoli in Italia. Di quella vettura che doveva lottare su ogni pista si sono perse le tracce dal Gp di Francia dello stesso anno.
Mai capace di tenere testa alla Red Bull, sovente superata in prestazioni dalla balbettante Mercedes W13, la creatura di David Sanchez, che l’anno dopo ha salutato la ciurma, si era pesantemente ed irreversibilmente involuta col caldo estivo. E con questo cambio di passo anche il vento mediatico mutò direzione e registro.
Il Binotto sicuro di sé della prima fase di quel mondiale prese a parlare nuovamente di team giovane, di analisi dati interminabili e di crescita da compiersi in un arco temporale più dilatato per giungere all’agognata vittoria del titolo. Il peccato originale, che è chiaro abbia scontato, è quello di aver puntato tutte le fiches sul nuovo quadro regolamentare imposto dalla FIA.
L’azzardo non pagò e l’ingegnere ammise che il 2023 sarebbe stato finalmente l’anno buono. Una posticipazione di target che a Benedetto Vigna , Amministratore Delegato della Ferrari, non piacque.
- Rottura Binotto – Ferrari: gestione dell’affidabilità del propulsore
I problemi di solidità, lo ricorderete, deflagrarono in Spagna mentre Charles Leclerc comandava in scioltezza le operazioni e Max Verstappen arrancava in una gara condita da errori che potevano essere ben più gravi a causa di un duello rusticano con George Russell che approfittava del DRS bizzoso della RB18 n°1.
Dopo il clamoroso ritiro costato 25 punti sonanti, Binotto aveva minimizzato. E forse fu anche corretto farlo per tenere alto il morale della ciurma. Il problema è che poche gare dopo, a Baku, il difetto tecnico raddoppiò facendo marcare un doppio zero alla Ferrari con Red Bull che godeva ancora una volta.
I motori divennero croce e di quella stagione visto che arrivarono altri stop e soprattutto che si verificarono molte sostituzioni di parti che costrinsero i piloti a penalizzanti arretramenti in griglia. Ma non solo, a fine anno si capirà che i propulsori del Cavallino Rampante avevano girato per lunghi tratti sotto il loro effettivo potenziale per evitare altre rotture.
Chilometraggi bassi e mappature blande usate come una spoletta di sicurezza col fine di evitare l’esplosione della granata. Che nella fattispecie era il V6 turbo-ibrido italiano. Quindi, quelle short term solution tanto sbandierate, altro non furono che un giro al ribasso dei manettini della potenza e una serie di cambi compulsivi di componenti della power unit. Pochissima e deludentissima roba. Forse sarebbe stato meglio ammettere le difficoltà derivanti da un politica votata al recupero prestazionale dopo anni di purgatorio post accordo riservato con la FIA.
- Rottura Binotto – Ferrari: intenti vincenti mortificati dai fatti
“Proveremo a vincerle tutte“. Mai esternazione fu più disastrosa. Mentre Charles Leclerc rimuginava su una gara gettata alle ortiche per un eccesso di foga, il GP di Francia, Binotto, nel tentativo di non deprimere ulteriormente l’ambiente, si produsse in un’uscita che è passata agli annali per essere l’opposto dell’immagine di profezia autoavverantesi.
Un autogol a difesa schierata e senza gli attaccanti avversari a pressare. Ne seguirono, dopo l’annuncio anti-divinatorio, nove vittorie Red Bull (8 per Verstappen, una per Perez) e una per Mercedes che completò un’inattesa doppietta nel weekend paulista .
Ferrari non solo tornava con un sacco pieno di pive ma, peggio ancora, con la consapevolezza di non esser mai stata in partita per giocarsela. Forse nemmeno in quel di Budapest quando il muretto box si prodigò in un’altra strategia devastante per i sogni di gloria di Leclerc .
Nei mesi che sono succeduti all’appuntamento transalpino la Scuderia ha fatto da spettatrice non pagante. La cosa è stata determinata da una campagna di sviluppi della vettura praticamente inesistente. “Non abbiamo compromesso lo sviluppo della vettura del prossimo anno. Ma certamente abbiamo deciso di fermare quello attuale perché bisognava affrontare il costo necessario per produrre le parti per poi portarle in pista”.
“Fermare il progresso della macchina non è stata una scelta; abbiamo semplicemente finito i soldi a nostra disposizione. Eravamo al limite. Non avevamo più l’opportunità di sviluppare l’auto, quindi siamo semplicemente rimasti dove eravamo“. Questa quanto ammise il dirigente elvetico.
Viene da chiedersi perché Red Bull, Mercedes ma anche e soprattutto Alpine, McLaren, Williams ed Aston Martin seppero commisurare le spese ai necessari update che ogni progetto deve ricevere nel dipanarsi del campionato per progredire o, come nel caso della F1-75, per mantenere lo status di monoposto da battere. Cosa apparsa piuttosto evidente nella prima metà di stagione e non sempre tramutatasi in punti a causa anche della gestione assai deficitaria dell’ambito strategico.
- Rottura Binotto – Ferrari: difesa strenue – ed insensata – degli strateghi
Il solo titolo di questo punto basterebbe per un capo d’imputazione. L’ultima stagione con Binotto al timone della Ferrari fu costellata da così tante topiche, gradi e piccole, da offuscare quegli sporadici episodi (come Abu Dhabi) in cui il muretto ha fatto la differenza in positivo.
La lista degli errori fu lunga; Maranello dilapidò un bottino di punti gigantesco, specie nella prima fase dell’annata. Sarebbero bastati per vincere il titolo? Probabilmente no, ma di certo avrebbero messo pressione ai rivali. E, si sa, operare sotto stress non è mai semplice. Lo ha dimostrato il Gp d’Australia di due giorni fa.
Mai si levò una critica dall’interno, raramente si fece atto d’ammenda. Anche dopo il pasticcio che a Silverstone tolse una vittoria semplice a Leclerc. Episodio, questo, da cui sarebbero scaturite le prime incrinature nel rapporto con Binotto che scelse, forse per troppo spirito aziendalistico, di proteggere gli strateghi e di provare a mantenere saldi gli equilibri tra i piloti. Con risultati scarsi.
Per arrivare a un cambio dei tattici abbiamo dovuto attendere l’arrivo di Frédéric Vasseur. Binotto ha pagato anche per questo immobilismo insensato.
- Rottura Binotto – Ferrari: rapporto coi media non sempre impostato correttamente
Nella stagione della delusione mondiale un altro aspetto non ha funzionato correttamente: quello del rapporto con chi fa informazione. Binotto, rammenterete, a seguito di critiche lecite mosse da parte di chi detiene i diritti di trasmissione della Formula Uno in Italia, si lanciò in un silenzio stampa irragionevole. Servì una mediazione tra le parti per riportare il barometro sul sereno.
Il clima di tensione rientrò ma restava la (immaginiamo) richiesta di evitare scomode domande. Un atteggiamento che non si confà al dovere di informare e al diritto di un cronista di porre quesiti non concordati e magari fastidiosi, pungolanti.
Anche questo aspetto ha probabilmente segnato il rapporto con una dirigenza che non può legare il proprio glorioso nome a baruffe di palazzo non compatibili al blasone ferrarista. Insomma, come descritto in questi cinque punti, la gestione Binotto della sfera pubblica non passerà alla storia come un modello vincente e replicabile.
Rottura Ferrari – Binotto: il team non è esente da colpe
Per chiudere, va detto che Ferrari non è sollevata da responsabilità mediatiche perché andò pedissequamente ad avallare le strategie comunicative del proprio direttore. Ed è normale che i capi debbano rispondere delle azioni dei sottoposti. John Elkann, poco presente e mai apparentemente preso dalle vicende del Cavallino Rampante, almeno in quella fase storica, ha giocato il suo ruolo in questo scenario comunicativo sbilenco, mutevole, incoerente.
La rinascita che tutti auspicano doveva necessariamente passare anche da un deciso cambio di paradigma comunicativo. Non basta un social manager più giovanile e in stile Mercedes (team che ha fatto scuola sulla materia); serve impostare una linea votata alla piena e totale trasparenza, cosa che è mancata nell’esperienza da team principal di Mattia Binotto.
Molti, a distanza di anni, si interrogano ancora su quell’ accordo riservato tra Ferrari e FIA che fu l’emblema di un procedere torbido. A volte, nella vita e nel lavoro, è meglio una dolorosissima verità piuttosto che dolci bugie. Che, come tali, hanno gambe ed esistenza brevissime.
Oggi, dopo oltre un anno di mandato Vasseur, la Ferrari sembra aver superato certe difficoltà che avevano creato un contesto lavorativo malsano. Il merito è di Vasseur ma anche della dirigenza che, memore degli errori commessi, ha finalmente cambiato passo. Anche per questo si guarda al futuro con maggiore ottimismo.
Crediti foto: Scuderia Ferrari