La notizia della precocissima “dipartita lavorativa” del tanto osannato David Sanchez silurato dalla McLaren ha riportato in auge le discussioni sulla controversa era del “Faraone” Mattia Binotto.
Sì, perché chi difendeva a spada tratta l’ex Team Principal Ferrari si sta rendendo conto che non c’è la fila di team che si accapigliano per assumerlo e lui continua a coltivare tranquillamente la sua vigna producendo del buon vino, magari rosso per ricordare i bei tempi andati (solo per lui).
![Mattia Binotto](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/03/Matti-Binotto-750x375.webp)
Mattia Binotto: il suo “cerchio magico” è in crisi
Per rimanere in tema enologico, i suoi più fidi collaboratori, accasatisi in altri team, stanno saltando come tappi di spumante a capodanno. Il caso più eclatante è appunto quello di David Sanchez, braccio destro di Binotto e artefice dell’innovativa aerodinamica della F1-75 (finché ha funzionato).
Epurato insieme al suo mentore facendo stracciare le vesti a molti sapienti della massima formula, è stato accolto a braccia aperte in quel di Woking dove aveva strappato la promessa di una posizione apicale con annessa grande responsabilità sul progetto Formula Uno.
Ma, evidentemente, il buon Sanchez, come accadeva nei tardi anni ‘80, credeva di aver comprato un’autoradio a prezzo stracciato e si è ritrovato con un pacco di sale.
Risultato? Dopo appena tre mesi di operatività ufficiale post gardening, le strade dell’ingegnere e del team inglese si sono divise e il nostro eroe dovrà scegliersi un altro team. Ammesso che ve ne siano in fila.
Sorti analoghe sono capitate ad altri “adepti” come Inaki Rueda che, da gran capo delle strategie di Maranello, ora occupa una anonima scrivania in un angolo del remote garage, e a Laurent Mekies, genio incompreso che ha ottenuto il ruolo di Team Principal nel “Little Team Red Bull” per portarlo ai vertici dello schieramento ereditando una versione rivista della plurivincente RB19.
E invece? La squadra italiana si sta stabilizzando nelle retrovie, in posizioni anche peggiori di quelle che occupava con Franz Tost quando il progetto se lo facevano in gran parte a Faenza. Aggravante per il nostro amato dirigente francese è la pessima gestione dei piloti.
Discorso a parte per Simone Resta, non certo un “binottiano” di ferro, ma comunque nominato in Alfa Romeo a dirigere l’antenna tecnologica Ferrari. Senza grandi fortune, a dire il vero. Ora è emigrato in Mercedes. Delle sue sorti ce ne renderemo conto in futuro dopo il classico periodo a piantare fiori e curare il giardino.
![Simone Resta](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/03/Simone-resta-750x375.webp)
Possiamo quindi concludere che nessuno sta litigando per accaparrarsi né il vate di Losanna né i suoi “accoliti” protagonisti di quel quadriennio che rimane uno dei peggiori della storia Ferrari. Un’era i cui fallimenti vengono certificati anche al di fuori di Maranello.
La decisione di mandarlo tra i ceppi d’uva rimane senza ombra di dubbio la migliore che sia stata presa da quando è venuto a mancare il compianto Sergio Marchionne. L’affare l’hanno fatto sia in Ferrari che nel mondo dell’enologia che può ora fregiarsi di un produttore di ottimi vini.
Crediti foto: Formulacritica, Scuderia Ferrari