È da pochi giorni uscito al cinema “F1 – Il film” (qui la nostra recensione), pellicola sportiva ambientata nel mondo della Formula 1 dove si seguono le vicende della scuderia fittizia della APXGP e dei suoi piloti protagonisti, “Sonny Hayes“, interpretato da Brad Pitt e “Joshua Pearce“, interpretato da Damson Idris. Il personaggio interpretato da Pitt, nel film, è ispirato, in parte ad un vero pilota che ha gareggiato in F1: il nordirlandese Martin Donnelly.
L’incredibile storia di Martin Donnelly
Martin Donnelly nasce a Belfast, in Irlanda del Nord, il 26 marzo 1964, in un periodo di grande instabilità sociale ed economica, segnato dal conflitto nordirlandese noto come “The Troubles”.
Belfast è una città lontana dal glamour della F1, con risorse limitate e poche opportunità per chi sogna una carriera nel motorsport. Nonostante queste difficoltà, Donnelly si distingue per il suo talento naturale e la sua determinazione. La sua passione per le corse lo spinge a competere nelle categorie minori, dove si fa strada grazie a una combinazione di velocità, coraggio e abilità tecnica.
Il percorso di Martin nelle formule propedeutiche culmina nel 1988, quando partecipa al competitivo campionato britannico di Formula 3000, una categoria nota per essere un trampolino di lancio verso la massima serie. Qui ottiene un eccellente secondo posto in classifica generale, sfiorando il titolo e dimostrando di essere un pilota di grande prospettiva. Questo risultato attira l’attenzione delle scuderie di Formula 1, ponendo le basi per il suo ingresso nella massima categoria.
L’approdo in F1 di Martin Donnelly fra Arrows e Lotus
Nel 1989, Donnelly debutta in F1 con la Arrows, una scuderia di medio-bassa classifica, partecipando al Gran Premio di Francia come sostituto di Eddie Cheever. La Arrows è una monoposto poco competitiva, ma Donnelly riesce comunque a farsi notare per il suo stile di guida aggressivo e promettente. La sua prestazione, pur non tradotta in risultati concreti a causa delle limitazioni tecniche della vettura, gli vale una chance più significativa per il 1990.
Quell’anno, Donnelly firma un contratto come pilota titolare con la Lotus, un team storico che, nonostante il glorioso passato sotto la guida di Colin Chapman, è in declino dopo la morte del fondatore nel 1982. La Lotus 102 del 1990, equipaggiata con un motore Lamborghini V12, è una monoposto problematica: progettata originariamente per un motore Judd più leggero, l’adattamento al pesante e potente V12 compromette il bilanciamento e l’affidabilità della vettura.
Nonostante queste difficoltà, l’irlandese dimostra il suo valore, ottenendo risultati rispettabili per il potenziale della Lotus: un settimo posto in Ungheria e due ottavi posti in altre gare, spesso superando il compagno di squadra Derek Warwick, un pilota con maggiore esperienza. Questi piazzamenti, in un midfield affollato e con una vettura poco competitiva, sottolineano il talento di Donnelly e alimentano speranze per il futuro, soprattutto con l’ingresso della General Motors come proprietaria della divisione auto Lotus, che si pensava potesse portare investimenti significativi al team di Formula 1.

Il drammatico incidente di Jerez
Il momento cruciale della carriera di Martin Donnelly arriva il 28 settembre 1990, durante le prove libere del Gran Premio di Spagna a Jerez. Nella veloce curva Ferrari, un guasto meccanico alla sospensione anteriore sinistra della sua Lotus 102 causa una perdita di controllo a circa 280 km/h. La monoposto si schianta contro le barriere metalliche con una violenza inaudita. La monoscocca in fibra di carbonio si disintegra, lasciando Donnelly, ancora legato al sedile, esposto al centro della pista. Le immagini mostrano la Lotus ridotta a un ammasso di rottami, con il sedile del pilota isolato sulla carreggiata, un’immagine che sconvolse il paddock.
Le lesioni riportate dal pilota sono gravissime: fratture multiple alle gambe, un polmone collassato, lesioni interne e un trauma cranico. La sua sopravvivenza è un miracolo, reso possibile dall’intervento immediato del dottore Sid Watkins, responsabile medico della F1, che coordina i soccorsi in pista. Ayrton Senna, che assiste all’incidente, rimane visibilmente scosso.
Il recupero e la vita di Martin Donnelly, dopo l’incidente
Nonostante la gravità delle lesioni, Donnelly dimostra una straordinaria resilienza. Dopo un lungo e doloroso percorso di riabilitazione, torna a guidare, un traguardo che sembrava impensabile subito dopo l’incidente. Nel 1993 ha l’opportunità di testare una Jordan-Hart a Silverstone, un momento che rappresenta un tentativo di rientrare in Formula 1. Le conseguenze fisiche e psicologiche dell’incidente, unite alla mancanza di opportunità concrete in un contesto competitivo, gli impediscono, però, di riprendere la sua carriera nella massima categoria.
Nonostante ciò, l’ex pilota rimane legato al mondo del motorsport. Negli anni successivi, ha lavorato come allenatore di piloti, e come steward FIA, contribuendo alla sicurezza e alla regolarità delle gare.

Il tributo di “F1 – Il film” a Martin Donnelly
La storia d’origine di “Sonny Hayes”, protagonista di “F1 – Il film”, è ispirata all’incidente del driver irlandese al Gran Premio di Spagna. Nel film, l’incidente di “Sonny Hayes” è modellato su quello di Donnelly, con dettagli visivi che replicano la Lotus 102 con livrea Camel. Tuttavia, mentre “Hayes” riesce a riprendersi completamente e a tornare in pista, nella realtà non è stato possibile avere quest’opportunità.
L’incidente di Martin Donnelly rappresenta il cuore emotivo della storia di “Sonny Hayes”, offrendo un omaggio al pilota reale e alla sua resilienza. Il nome di Donnelly, è tra i primi che compare nei titoli di coda del film, come ringraziamento per aver concesso la sua storia come base del personaggio di Brad Pitt.
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