Non è l’avvio iridato che i tifosi attendevano. Non è sicuramente il modo in cui Lewis Hamilton si aspettava di cominciare la sua seconda giovinezza. Il debutto in Ferrari – a quarant’anni suonati – non è andato come si sperava dopo un inverno di proclami roboanti e promesse per ora non mantenute. La classifica non sorride, l’adattamento al team non è completo, la comprensione della SF-25 – un’auto che ha deluso le premesse – è lungi dall’essere raggiunta. Com’è possibile che un sette volte iridato, un pilota con alle spalle oltre 350 gran premi e 19 stagioni di attività, possa soffrire così tanto nel nuovo contesto lavorativo?
Ne abbiamo parlato con l’Ingegner Luca Baldisserri durante CriticaLive (qui per recuperare l’intervento). Un punto di vista importante poiché parliamo del professionista che si celava dietro i successi del ferrarista più vincente di sempre, quel Michael Schumacher che coabita sullo scranno più alto dell’Olimpo del motorsport proprio col Sir di Stevenage.
Interviene, con le sue valutazioni, chi parla con contezza delle cose del rapporto con un fuoriclasse, dentro e fuori la pista. E forse, al di là di questioni tecniche che non vanno sottovalutate, è anche questo ciò che non si è ancora riuscito a costruire. Con le risultanze che abbiamo osservato finora.

Lewis Hamilton – Ferrari: l’adattamento alla power unit nuova è davvero un problema?
Uno dei temi emersi in disparate analisi del momento che attraversa Hamilton è quello relativo alla comprensione delle modalità di utilizzo dell’unità propulsiva. Il mito, forse, lo ha alimentato lo stesso britannico che, in occasione del Gp d’Australia disputatosi su pista bagnata, aveva lamentato la scarsa conoscenza dell’erogazione del V6 di Maranello su un asfalto a bassissima aderenza. Ma forse si è andati un pizzico oltre in questa narrazione poiché certe caratteristiche sono comuni anche al motore anglo-tedesco.
Baldisserri, in maniera piuttosto perentoria, ha spiegato che si fa fatica a credere come un pilota così forte e così esperto, anche in presenza di pochi test disputati, possa non adattarsi in fretta. In giro si legge che Lewis fa fatica a guidare sfruttando al meglio il meccanismo dell’engine braking che, va sottolineato, è tipico anche delle power unit Mercedes che l’ingegnere conosce avendo operato per due anni in una Williams fornita dal Mercedes High Performance Powertrains di Brixworth.
La gestione del brake-by-wire, quindi della frenata posteriore, è fatta da una combinazione di engine braking e dell’MGU-K oltre che alla pompa tradizionale che all’asse posteriore conta relativamente poco. L’engine braking – spiega lo scafato tecnico – viene usato per modulare la frenata nella fase di inserimento in curva. Se un’auto ha un posteriore più debole si usa un po’ meno freno motore; se tende al sovrasterzo si tende a portare il freno più sul posteriore per aiutare la rotazione della vettura. Sono cose che si fanno normalmente e succede in Ferrari così come in Mercedes.
Si fa fatica a immaginare che siano queste le vere cause delle difficoltà di Hamilton. Il problema potrebbe essere invece rappresentato dal fatto che, nonostante la vettura ostica, Leclerc riesce ad andare meglio estraendone il potenziale, seppur ancora limitato. E questo genera pressioni e frustrazioni. La gestione della frenata non può essere la vera questione. Sicuramente non l’unica. Quando un pilota cambia team questo prova a comprendere cosa vuole e quale sia il suo stile. Forse si è lavorato poco nel capire quali possano essere le necessità di driving del conducente ex Mercedes.

Hamilton – Ferrari: è scarsa la simbiosi con Riccardo Adami?
Lewis è un pilota che viene da un rapporto simbiotico con il suo vecchio ingegnere, Peter “Bono” Bonnington. Uno specialista che non è solo una spalla ma che spesso, come fanno gli ingegneri di pista, era diventato un vero e proprio coach tecnico e mentale. Probabilmente l’intesa con Riccardo Adami non è ancora precisa, manca quel feeling che per un uomo molto empatico come Lewis potrebbe fare la differenza.
Luca Baldisserri ha spiegato che la liaison con Adami potrebbe non essere ancora scattata e che non sarà facile per il tecnico che deve capire ancora cosa vuole davvero il sette volte iridato. L’ex Ferrari ha evidenziato come, oggi, il rapporto che c’è tra Andrea Kimi Antonelli e Bono è anni luce diverso rispetto a quello che quest’ultimo aveva con Lewis Hamilton. Questi tende a domandare, mentre Kimi condivide sensazioni e chiede di cosa ha bisogno. Questa sottolineatura serve per far capire che Lewis è meno “aperto” nel dialogo durante l’azione e questo può pesare nella mancata creazione di una struttura comunicativa efficace.
Adami fa fatica a capirlo, ciò si evince dai team radio. Hamilton, dal canto suo, dovrebbe forse sforzarsi di più nel creare un rapporto che è fondamentale. Se cade o diminuisce la fiducia tra chi indossa il casco è il suo ingegnere di pista crolla tutto. L’ingegnere deve avere un ruolo da psicologo, un mental coach per il suo pilota. Le scelte che si fanno sull’auto vengono prese da uno staff molto pingue, ma chi si rapporta al driver è il solo ingegnere di pista. Lui e solo lui parla col pilota. Se questo canale comunicativo ha delle interruzioni si creano problemi, ha spiegato Baldisserri.
Adami ha bisogno di un po’ di tempo ma è necessario che il legame ingegnere-pilota si crei subito perché se qualcuno deve saltare non è di certo un sette volte iridato su cui sui è investito molto. E proprio in Ferrari esiste un precedente, quello di Xavi Marcos che, dopo alcune incomprensioni con Charles Leclerc, è stato rimosso per promuovere Bryan Bozzi.

Dal quadro dipinto da Luca Baldisserri si evince come le vere problematiche di Hamilton potrebbero insistere più sulla sfera ambientale e mentale che su quella tecnica. Un sette volte iridato non può aver disimparato a guidare di colpo. Non c’è solo una ragione alla base delle difficoltà – oggettive – che sta incontrando in questo avvio iridato, sono diversi gli aspetti condizionanti.
Forse sarà necessario ancora un po’ di tempo, ma sarà obbligatorio individuare dei paletti, dei limiti oltre i quali non andare. In Formula Uno si corre veloci sotto ogni ambito e nessuno aspetta un rivale in difficoltà. Anzi, se può, infierisce per togliere dalla tenzone un competitor potenzialmente pericoloso.
Jeddah, una pista difficile e particolare nella struttura, potrebbe segnare un altro passaggio complesso per Lewis che deve dimostrare, egli per primo, di adeguarsi al nuovo contesto operativo. Leclerc sta pian piano prendendo il possesso del team e Hamilton, se le cose non cambiano, rischia di diventare un gregario di lusso, un secondo strapagato. Una condizione anormale e che di certo non fa bene né al pilota né al team.
Lewis Hamilton – Ferrari: ecco la puntata di CriticaLive col punto di vista di Luca Baldisserri
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Crediti foto: Formulacritica, Scuderia Ferrari HP