Ferrari – Lewis Hamilton sta andando male in questo mondiale 2025. Si parta da questa evidenza senza troppi giri di parole né cercando giustificazioni di sorta. Questo incipit è necessario per rendere solido il ragionamento: le prestazioni del sette volte iridato sono e restano deludenti. Ma se uno con una carriera così importante sulle spalle entra in una fase critica significa anche che l’ambiente circostante non è sano. Non è idoneo a poter concorrere per la vittoria.
Non le ha mandate a dire Lewis ieri dopo l’ennesimo Gran Premio opaco nel quale anche la sfortuna – materializzatasi in una disgraziata marmotta perita sotto gli inlet dei canali Venturi della tecnicamente ridicola SF-25 – ci ha messo del suo. Perché si sa, quando le cose non girano ogni altro dettaglio che può completare il disastro perfetto dà sostanza di sé.

Lewis Hamilton: la dura realtà del mondo Ferrari
Hamilton, a fine 2012 e non senza far storcere il naso a qualcuno, decise di dire addio alla McLaren. Aveva capito, Lewis. Aveva compreso che da quelle parti non c’era più trippa per gatti e che Woking avrebbe dovuto attraversare una lunga e dolorosa ordalia del fuoco che ha vinto solo in tempi recentissimi dopo patimenti inenarrabili fatti da cambi al vertice, sostituzioni di partner tecnici, passaggi di piloti più o meno blasonati e umiliazioni sportive che sono rimaste nella storia.
Hamilton scelse Mercedes e in quel caso il suo naso da segugio fiutò l’aria del buon cambiamento. Il resto è storia. Per se stesso, per la Stella a Tre Punte, per la Formula 1. Quando il britannico ha deciso di accomiatarsi da Toto Wolff e dal gruppo con cui ha scritto pagine irripetibili si riteneva che quell’olfatto da pointer si fosse riattivato. E invece…
Hamilton ha sbattuto contro un muro. Le attese si sono presto trasformate in delusioni. Dopo dieci gare, quasi metà campionato, quindi, è possibile affermare senza tema di smentita che Hamilton e la Ferrari non si sono presi. E non è solo una questione tecnica che afferisce alla SF-25, un trabiccolo incapace di produrre prestazioni decenti.
Lewis non riesce ad incidere, non è capace di determinare. Cosa che riusciva a fare in Mercedes anche nei momenti difficili. C’era un team che lo ascoltava, che gli andava dietro, che prendeva decisioni che venivano dopo le sue osservazioni. In Ferrari tutto ciò non succede e lo si comprende da certe dichiarazioni che il sette volte iridato sta rendendo ai media da un po’ di tempo. Hamilton vuole cestinare la SF-25 e vuol farlo perché non arrivano aggiornamenti. Ecco perché li invoca a gran voce. E forse lo fa proprio per sottolineare l’immobilismo di un gruppo tecnico incapace di capire dove intervenire.
Non ha torto Lewis ad affermare che è necessario riversare tutto sul 2026. Non si capisce, a tal proposito, il continuo cincischiare di Fred Vasseur che non ha il coraggio di dire una volta e per tutte che quest’auto è un ferro a caldaia: senza margini di sviluppo, sbagliata nei principi, poco adattiva e con una finestra d’utilizzo microscopica.

Hamilton e il “circo rosso”
Non c’è bisogno di un lessico prostrato alla causa: la Ferrari, da troppo tempo, dà un’immagine di sé non proprio esaltante. Un circo. Giudizio impietoso ma sostanziale. Perché quello che sta emergendo ultimamente è più afferibile ai saltimbanchi che alla realtà di un ‘equipe che deve vedersela con una concorrenza organizzata e ben strutturata.
Hamilton sta vivendo in prima persona quel che si narra in Inghilterra quando si parla delle cose di Maranello. Un ambiente sferzato dalle correnti, in cui è difficile remare tutti nella medesima direzione. Lo ha fatto capire lo stesso Vasseur quando, ieri sera, ha parlato di fiducia da parte della proprietà ma di necessità di essere tutti focalizzati sullo stesso obiettivo. Sottolineatura che lascia intendere che qualche forza divergente in seno alla squadra vi sia.
Ieri Hamilton ha visto la “sua” Mercedes vincere e chiudere con un terzo posto a corredo. Questo, mentre Ferrari, senza update significativi e in piena confusione tecnica, annaspava in un’altra gara insipida. A un certo punto si è ascoltato un team radio eloquente: Riccardo Adami comunicava a Lewis che si trovava a 20 secondi da Leclerc e che altrettanti ne aveva sul primo inseguitore, ossia Fernando Alonso. Un GP condotto nella terra di nessuno, senza obiettivi né stimoli. La sintesi di quella che è diventata l’esperienza in rosso di Hamilton.

Il sette volte iridato è passato dalla puntuale strutturazione della Mercedes a una realtà che non è ancora capace di darsi delle linee operative efficaci. Lo abbiamo riferito altrove: Vasseur, nel bel mezzo dello sviluppo del progetto 678, ha cercato Pino Pesce della McLaren per affidargli la direzione del comparto aerodinamico. Ne è seguito un secco no, ma la vicenda racconta di quante incertezze insistano sulla vettura 2026 e sul ruolo di chi la deve disegnare.
Quando Lewis, dopo la gara, ha parlato di eventi dei quali non si possono definire i contorni, forse alludeva proprio a queste dinamiche. Se così fosse ci sarebbe da essere molto preoccupati perché il Cavallino Rampante non può permettersi di farsi trovare impreparata al mutare del quadro normativo. E forse, dietro le invettive morbide di Hamilton, si celano preoccupazioni più profonde che emergono proprio quando il suo ex team dimostra una spiccata capacità di reagire dopo gare passate ad interrogarsi sulla bontà delle novità tecniche introdotte a Imola.
Facoltà di reagire alle avversità. Ciò che sta mancando alla Ferrari, quanto Hamilton ha amaramente constatato sulla sua pelle. Un tarlo che pian piano sta scavando nella testa di Lewis Hamilton che considera ormai chiuso un mondiale in cui sta uscendo con le ossa rotte dal confronto interno con Charles Leclerc. Cosa che, alla lunga, potrebbe metterlo in una scomodissima condizione da secondo troppo retribuito per essere uno sparring partner.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari HP
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D’ accordo con quanto esposto. In Ferrari quando vinci e’ Ferrari quando perdi e’ il pilota . E’ cosi’ ke va ora, c’e’ stato pero’ un tempo con tecnici e Mike S.ok. Per questo Newey ha rifiutato, per criche di bottega, siamo Italiani , molto individualisti. Verra’ uno con le palle e mettera’ le cose con tevnici ke danno.