Questo scritto, quasi una riflessione a voce alta, nasce da un’infografica pubblicata nei giorni scorsi dal sito ufficiale della Formula 1. Un’immagine che attiva i pensieri, che apre le chiuse delle cogitazioni e lascia scorrere il flusso dei ragionamenti. La succitata foto metteva sinteticamente a confronto gli score dei piloti nelle prime nove gare del 2025 con quelli registrati l’anno passato. All’occhio è balzato immediatamente il dato relativo a Lewis Hamilton. Il britannico, in un mondiale sciagurato come quello in corso, sta sorprendentemente facendo meglio rispetto alla sua ultima stagione in Mercedes: 55 punti contro gli attuali 71.
Sono quasi sobbalzato dalla sedia nel constatare questa evidenza statistica. Mi è venuto da esclamare, solitario nel mio angusto studio zeppo di oggetti del cuore, tra cui un’immagine della W15, ultima creatura Mercedes condotta da un pilota che non ho mai fatto mistero di amare, “vuoi vedere che si stava meglio quando si stava peggio”.
Una forzatura, ne sono ben conscio, considerando che Lewis con la Stella a Tre Punte ha praticamente vinto tutto, anche il primo mondiale del 2008 con una McLaren spinta dai propulsori sfornati dal Mercedes High Performance Powertrains di Brixworth.
Ma, nonostante ciò, gli anni delle monoposto Venturi si sono rivelati un calvario per Lewis. Da lì l’esigenza di cambiare aria, di trovare gli stimoli per agguantare quell’ottavo titolo scippatogli dalle “circostanze” (dietro quelle virgolette c’è un mondo che è inutile rispolverare) e che pensava di poter conquistare con la Ferrari.
Il campionato 2024 in cui, di questi tempi, Hamilton annaspava, è stato comunque foriero di due vittorie. Prospettiva oggi utopistica. Da qui quella considerazione sullo stare meglio quando Lewis pensaa di essere avvinghiati nelle difficoltà. Il 2025 della Mercedes è tutt’altro che brillante. Dopo un avvio incoraggiante la W16 si è spenta come un fiammifero. Ma, ciononostante, forse per Hamilton sarebbe stato meglio proseguire con la squadra anglo-tedesca senza conoscere l’onta del fallimento.

Lewis Hamilton: quei motivi per cui era meglio rimanere in Mercedes
Sgombriamo il campo da dubbi e illazioni: il biennale che Hamilton aveva ottenuto dalla Mercedes non rappresentava un motivo di insicurezza da parte del team. Toto Wolff, negli ultimi tempi, procedeva con prolungamenti di due anni (non era il primo per Lewis) e addirittura annuali com’era stato nell’ultima stagione di Valtteri Bottas. Lo stesso Russell rinnovò la sua intesa per due stagioni, proprio nello stesso momento in cui lo fece l’ex collega di Stevenage. Precisato ciò, cosa rendeva Mercedes un ambiente più florido per Lewis?
Capacità di incidere
Hamilton non aveva bisogno di urlare, ma il suo tono pacato abbinato a un eloquio posato arrivava laddove doveva giungere. Il pilota era riconosciuto come un leader che poteva indicare la via. Ricordate le sue critiche feroci alla Mercedes W13 e poi alla W14 che secondo lui doveva andare in una direzione filosofica diversa? Bene, il team cambiò strada e mise in condizione Mike Elliott, il padre del concept zero sidepod, di arrivare alle dimissioni dopo un defenestramento che tra i genitori ha anche Sir Lewis.
Da quel movimento tellurico riemerse James Allison che passava buona parte del suo tempo a progettare barche da vela per conto del comproprietario Ineos. Ne venne fuori una W15 non da mondiale ma che seppe portare a casa un poker di gare dando la sensazione di essere la base per una buona monoposto. Che nel 2025 non si è vista, per inciso. Chissà, forse anche perché mancava uno come Lewis che degli anni precedenti s’era sobbarcato uno sfiancante lavoro di collaudo ammesso dai rappresentanti di spicco della squadra.

Rapporto non idilliaco con il suo ingegnere di pista
Ne abbiamo parlato diffusamente con Luca Baldisserri che il mestiere lo conosce alla perfezione essendo uno dei professionisti più rinomati e vincenti nel settore: forse oggi c’è un problema di comunicazione e di fiducia che investe il legame tra Hamilton e Riccardo Adami. I due non si sono ancora presi, chissà se mai accadrà. Con Peter “Bono” Bonnington le cose erano diverse.
Prima che collaboratori erano amici. C’era un’intesa profonda che valicava i contorni dei circuiti. I problemi si trasformavano in opportunità di sviluppo, in stimoli per sfide da vincere. Ora sembrano essere la base per tensioni e incomprensioni che spesso emergono a mezzo radio. La sensazione è che sia necessario rinsaldare il legame perché questa dinamica, nel lungo periodo, rischia di compromettere l’esperienza in rosso del britannico.
Prospettive in vista del 2026
Né la Ferrari né la Mercedes se la stanno passando bene in questa fase del campionato. Tuttavia c’è la sensazione che in vista del 2026 la Stella a Tre Punte sia meglio piazzata. Molti ritengono che siano in vantaggio sul comparto motoristico, di certo hanno una line-up tecnica già definita. Della Ferrari si può dire lo stesso? Tralasciate le congetture sulle power unit di nuova generazione, è sul fronte aerodinamico che insistono delle perplessità. Ecco perché
Non è un mistero che Fred Vasseur abbia cercato – ricevendo un sonoro no – Pino Pesce, figura di spicco della McLaren, aerodinamico che ha contribuito a disegnare una monoposto vincente. “Rabdomare” ingegneri in questa fase è sintomatico del fatto che forse non c’è troppa fiducia nel capo comparto attuale: Diego Tondi. È singolare che una struttura cerchi un capo settore a pochi mesi dalla costruzione dei primi pezzi che andranno a comporre il progetto 678 che si trova in una fase di sviluppo molto avanzata. C’è il rischio che anche il 2026 non vedrà Maranello grande protagonista e questa prospettiva potrebbe definitivamente deprimere un pilota che non era venuto a svernare. Ma che rischia ora di farlo.

Marchio sulla carriera
In Mercedes, anche senza riuscire ad imporsi come dominus nell’era Venturi, Lewis ha sempre prodotto prestazioni sui livelli di quelle espresse da George Russell. Un eventuale cliff nelle performance sarebbe stato letto come semplice questione anagrafica: gli anni passano per tutti ed è lecito appannarsi col trascorrere del tempo. Dal confronto con Leclerc, invece, Hamilton ne sta uscendo con le ossa rotte. E molti ritengono – probabilmente a torto – che la differenza stia nella cifra tecnica. Così non è, lo sa pure chi ne ciarla con le bende del tifo a coprire occhi e costrutto. Ma il rischio che passi la vulgata del pilota ridimensionato è forte.
Già si leggono assurdità atte a ridimensionare la portata delle sue oltre 100 vittorie e dei suoi titoli. Una deriva ridicola ma che, ahinoi, viene alimentata da quel tritacarne che sono i social network e ripresa da certa stampa sensazionalistica che non sa analizzare ma sa solo creare cortine di fumo assai vendibili. In Mercedes Lewis avrebbe fatto un finale di carriera da idolo. Ora rischia di essere ricordato come un serial winner con macchine dominanti. E chi conosce la sua storia sa che non è così.
Quella descritta nelle righe precedenti è la fotografia del momento, le cose potrebbero cambiare in meglio nei prossimi tempi. Ma potrebbero anche peggiorare se Hamilton non trova la forza di invertire la rotta ed uscire dalla catatonia sportiva in cui pare essersi calato. Verrebbe da chiedergli se l’anno scorso si è fatto bene i conti e se non era il caso di proseguire nell’ambiente che lo ha fatto (e che ha fatto) grande.
Per ora Hamilton – Ferrari è un’operazione bocciata dalla pista. Si spera che non lo sarà anche dalla storia.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari HP
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