In metà campionato – non siamo ancora arrivati a Monza – abbiamo già assistito alla parabola discendente che abbiamo visto accadere per Alonso e Vettel in cinque stagioni. Questo è sicuramente un record, non certo quello che avrebbe voluto Lewis Hamilton.
Vi comunico che siamo giunti alla fine della luna di miele tra Hamilton e Ferrari. Qui, ovviamente, per essere smentita. Fa parte dei giochi. Del resto, qualche tempo fa provai con argomentazioni logiche e senza insider a spiegare perché Newey non sarebbe mai andato in Ferrari. Ora provo ad utilizzare la ragione per spiegare perché – secondo me – l’operazione Hamilton non sta attualmente funzionando, e quanto ci sia il dolo dello stesso Hamilton in tutto ciò. Non è semplicemente la vettura che non funziona. A mio avviso c’è un problema di atteggiamento del pilota.
E in questo momento non c’entra neanche l’età, che chiaramente sarà una giustificazione utile a Ferrari o allo stesso Hamilton, in futuro, per spiegare questo fallimento.

A fasi alterne – specialmente in condizioni miste o di pioggia – Hamilton si riaccende, facendo delle buone prestazioni. Il pilota continua ad avere talento. L’abbiamo appena visto nella gara di Spa-Francorchamps: se non ti senti confidente nei tuoi mezzi, non sei il primo a cambiare le gomme da bagnato con le slick. A settembre sarà curioso vedere come si comporterà a Monza, un circuito che oramai non è così tecnico, dove si livellano eventuali gap prestazionali tra i piloti.
Diversamente da Vettel e Alonso, Hamilton è entrato in Ferrari come una star: atteggiamento legittimo e giustificato da un’indiscussa fama mediatica e da un ingaggio faraonico. Ma oltre a questo c’è un aspetto in più: la percezione è che Hamilton sia venuto per imporsi, quasi a fare un favore a Maranello, per cui non sembra avere poi una grande considerazione. È come se pensasse di portare parole di verità in un posto da terzo mondo. Un po’ alla “c’ho la Madre Teresa dentro”, chi ha visto Boris sa cosa intendo.
Questa sensazione, a mio avviso, è confermata anche da alcune dichiarazioni rilasciate a Silverstone, in cui si dimostra stupito dal fatto che esista un periodo della giornata lavorativa dedicato alla pausa pranzo, cosa che in UK non è concepita. Secondo me, queste frasi poteva risparmiarsele, visto che continuano ad alimentare il pregiudizio secondo cui noi italiani passiamo il tempo a “cazzeggiare” e mangiare. Non vorrei divagare, ma l’Italia fa attualmente parte del G7 e Ferrari è il marchio più conosciuto al mondo, davanti a Coca-Cola.
Comunque non è colpa di noi italiani se gli inglesi non sanno cucinare e devono per forza trovare una via d’uscita a questa mancanza. Questo, a mio avviso, dimostra la scarsa – se non nulla – inclinazione di Hamilton ad immergersi nel mondo Ferrari a tutto tondo. Tutti abbiamo in mente la foto di Schumacher insieme alla cuoca del Montana; sappiamo per certo che una foto del genere non potrebbe mai esserci tra lei e Hamilton.
Possono sembrare piccole cose insignificanti. In realtà, se le si sa osservare, si riesce a capire meglio il quadro d’insieme. Anche lo stesso Raikkonen, a suo modo, è riuscito ad amalgamarsi. Manca l’umiltà di pensare che esista un altro modo di vivere o pensare al di fuori del proprio orticello.
Vettel e Alonso, a loro modo, hanno invece dimostrato rispetto per la storia del marchio. Non hanno mai cercato di cambiarlo, ma di sfruttare quella storia per cercare di vincere. Alonso ha avuto uscite poco aziendaliste in alcuni frangenti, ma ha sempre cercato di adattarsi e di dare il suo meglio per vincere insieme alla Ferrari. Ancora oggi rimpiange di non esserci riuscito, proprio perché sa bene che vincere lì ti rende immortale.
Questa poca inclinazione ad adattarsi la osserviamo anche quando Hamilton guida la vettura. In qualche live che ho seguito qui su Formulacritica abbiamo sentito l’ingegner Baldisserri trovare difficoltà a spiegare come mai Hamilton faccia veramente così fatica, perché ha problemi ovunque. Ha anche detto che bisognerebbe smetterla di far correre le cariatidi – e sono d’accordo, a patto che non si parli di Alonso, che è per natura giovane dentro.
Hamilton ha anche dichiarato di voler trasferire alla Ferrari il suo DNA. Dopo una dichiarazione del genere, il Drake l’avrebbe mandato a casa senza pensarci due volte. Sono affermazioni impensabili da dire in questo contesto, così differente rispetto alle squadre inglesi. Qui in Ferrari sono i piloti a passare, ed è sempre il marchio che resta. Non c’è spazio per individualismi.
Il problema di Hamilton è che dopo mesi non ha ancora capito dove si trova. In caso contrario, non avrebbe dichiarato qui a Spa di aver scritto dossier sulle criticità della vettura, con eventuali soluzioni ai problemi.
(Qualche giornalista dovrebbe ricordargli che nel 2026 aveva promesso di pubblicare un libro su quello che successe nel 2016, col cambio dei meccanici. Sarebbe molto più interessante dei dossier. Ma ritorniamo al discorso principale.)
Hamilton in questo frangente si sta arrogando un ruolo che è quello di TP e non di pilota. Era ben diverso l’atteggiamento di Vettel nell’annotarsi sul taccuino le sue sensazioni, regolazioni, limitazioni sulla vettura. Era sicuramente molto più collaborativo e propositivo, con l’intento di lavorare insieme alla squadra senza porsi in una posizione apicale. Qui Hamilton si sta ponendo come vertice di una piramide, bypassando i responsabili della squadra.
È proprio quello che lì dentro non dovresti pensare di fare, oltre che qualcosa che nelle squadre inglesi non sarebbe neanche accettato.
Ci fa sapere che fa riunioni dove discute di queste cose con Elkann, Vigna e Vasseur. Peggio mi sento.
Peccato che quelli che usano il CAD o fanno le simulazioni CFD siano altri, e guarda caso dovrebbero essere proprio quelle le persone con cui parlare della vettura – o comunque con i loro capi area. Vuole farci sapere che lui fa, e che cambierà le cose, ma a questa narrazione secondo la quale il pilota progetta la macchina e la collauda non ci crede più nessuno. È desueta, oltre ad essere una strategia suicida. Ci hanno già provato con Vettel, e non ha funzionato affatto.
E c’è da scommettere che qualcuno a Maranello non gradirà questi dossier. Insomma, dopo questo weekend Hamilton non si è fatto molti amici nell’ambiente.

L’ulteriore limite di Hamilton è di non avere un manager o un Lauda di riferimento che lo possa consigliare, specie in momenti difficili come questo, dove le dichiarazioni stampa che rilascia sono a volte un po’ ridicole. Hamilton, per fortuna sua, è sempre stato più bravo a guidare piuttosto che a relazionarsi con la stampa. Ad esempio, questo weekend a Spa la Ferrari ha portato degli aggiornamenti alla sospensione che Hamilton ha giudicato positivamente, senza però passare entrambe le Q1. Il pilota si giustifica dicendo che Leclerc questi aggiornamenti, in parte, li aveva già provati in Canada, ma il fan club “leclerchino” lo sbugiarda clamorosamente. Non penso ci sia bisogno di commentare.
Ora, a fine gara, si scusa con i tifosi. Hamilton ha un problema – e non la Ferrari, visto che Leclerc in questo weekend è salito sul podio e si “salva”, per ora – e non si trova nelle condizioni per poter imporre il suo pensiero. E non sa neanche come uscirne.
La musica è finita…
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, McLaren F1
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