Pensando a quello che avviene in questi giorni a Lewis Hamilton mi viene in mente una famosa pubblicità del grande Nino Manfredi che sponsorizzava una nota marca di caffè con uno slogan geniale diventato tormentone in quegli anni: “Più lo mandi giù e più ti tira sù!”, ebbene per il nostro eroe sta accadendo l’esatto opposto: “Più lo porti sù e più cade giù!”.
Sin dall’annuncio shock dell’ingaggio del campionissimo britannico da parte del team di Maranello sono stato molto scettico perché il talento e la grandezza di Lewis Hamilton non sono in discussione. Il punto, però, è l’età fin troppo avanzata per non capire che le prestazioni di un quarantenne a fine carriera non possono essere le stesse di un giovane ventenne che ha più riflessi, velocità, voglia, motivazioni, e tanto altro.
La differenza in termini di velocità pura rispetto a un pilota nella parte migliore della carriera come Charles Leclerc risulta evidente e in passato anche il Kaiser Michael Schumacher, nella sua avventura Mercedes, le prendeva da un pilota molto più giovane come Rosberg e, anche se quest’ultimo era molto forte, uno Schumacher con 20 anni in meno lo avrebbe fatto a polpette. Questo perché l’età non è uno stato d’animo ma un dato oggettivo che tutti rende meno performanti anche se si fa finta che questo non sia vero.

Perché affidare il futuro della Ferrari a Lewis Hamilton, un pilota a fine carriera con poco o nulla da aggiungere alla stessa?
La decisione, come noto, è stata presa dal presidente John Elkann, un grande manager forte di studi economici di altissimo profilo che gestisce numerose holding, tra cui la più importante è il gruppo Stellantis, tra i più grandi produttori di automobili al mondo, di cui la Ferrari rappresenta solo una piccola parte.
Ebbene, John Elkann non ha mai mostrato particolare interesse per la Formula 1 e comunque dubito fortemente che nella sua giornata da manager, dove gestisce miliardi di dollari e il destino di migliaia di persone, abbia il tempo di interessarsi delle sorti di una scuderia di F1. Per rendere meglio l’idea viene in mente una eccezionale battuta del mitico Gigi Proietti alias “Mandrake” nel film cult “Febbre da cavallo” quando, rivolgendosi alla sua amica escort, le dice: “A Mafà, ci ho certi cacchi che manco tu che sei del mestiere gli hai visti mai!”.
Tutto questo per dire che le decisioni del presidente Ferrari sono state dettate più da una motivazione di tipo economico e comunicativo, per il prestigio di legare il marchio del Cavallino Rampante al pilota più vincente di sempre, piuttosto che da una motivazione tecnico-sportiva, rispetto alle prestazioni del pilota, per la verità apparse già in declino nel confronto con il giovane ex compagno di squadra George Russell.

Quindi il messaggio che si è voluto dare è che basta ingaggiare un campione come Lewis Hamilton per risolvere tutti i problemi?
È proprio quello che la scuderia di Maranello, stupidamente o ottimisticamente, ha voluto far credere a tutti presentando il britannico in maniera pomposa ed ipertrofica e facendo proclami durante l’evento di Milano, dove si aveva la netta impressione di festeggiare un mondiale già vinto, piuttosto che essere alla vigilia di uno che quasi sicuramente non si vincerà. Il tutto ben sapendo di avere uno svantaggio tecnico difficilmente colmabile rispetto alla McLaren, senza contare gli altri competitors molto competitivi come Mercedes e Red Bull.
Una grave ingenuità, cedendo alla voglia di monetizzare e acquisire quanto più consenso possibile rispetto al nuovo acquisto, ma un pericoloso boomerang manifestatosi in quest’ultimo weekend, con tifosi inferociti pronti a buttare fango sul pluricampione reo di non essere stato all’altezza di aspettative già in partenza non realizzabili (gli stessi che starnazzavano a Milano pensando alla bacchetta magica).
Colpa anche dello stesso Lewis Hamilton, reo di aver accettato e fomentato una narrazione pericolosa per avere un momento di gloria iniziale che potrebbe costargli una reputazione costruita a suon di vittorie negli anni con le Frecce d’Argento. In più, per un pilota che ha militato per così tanti anni in una stessa scuderia, era prevedibile un periodo di adattamento che, per colpa dell’hype generato, non può essere concepito.

Pur se discutibile, l’operazione Lewis Hamilton merita di essere supportata da tutti, invece di cedere alla schizofrenia dei social che oggi gridano al fenomeno e dopo una settimana parlano di fallimento.
La F1 è una categoria complessa, con dinamiche non sempre prevedibili, e la scommessa su Lewis Hamilton, a prescindere da come la si pensi, merita tempo e pazienza nella consapevolezza che nessun pilota, che si parli di Verstappen, Hamilton, Russell o chiunque altro, può cambiare le sorti di una scuderia dove in media lavorano 800 o 900 persone.
Ma se a decidere lo scorso anno fosse stato, anziché un presidente economista, un presidente profondo conoscitore del motorsport, oggi al fianco di Leclerc avremmo un ragazzo talentuoso dell’academy (anche perché poi mi spiegheranno a cosa serve) in grado di crescere all’ombra del monegasco per diventare il campione del futuro. Ma questi sono solo pensieri.
Per chi volesse fare l’esempio di Michael Schumacher in Ferrari, che portò a 5 mondiali, faccio sommessamente notare che insieme al Kaiser tedesco arrivò a Maranello tutto il blocco dei progettisti Benetton, e comunque ci vollero ben 7 anni per vincere, e quelli come me che c’erano si ricordano bene quanto furono lunghi.
La certezza di oggi, invece, è che il Re è nudo: o dimostra di saper reagire e rendere per quelle che sono le aspettative create, oppure dovrà abdicare con disonore. E questo non sarà un bene per nessuno.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
Foto copertina: Getty Images