Ci sono storie rubate agli archivi per fare memoria. Io arrivo il giorno dopo e me ne frego della ricorrenza adatta, perché le emozioni non hanno data di scadenza, non si organizzano in una chat redazionale, esistono e basta. Un po’ come te, Lella. Perdona questa confidenza che mi prendo per raccontarti, ma le distanze, in questo caso, non giovano a nessuno.
Ti ho incontrata per caso tanti anni fa, vagando da passeggera in quella provincia di Alessandria che sa ancora di pianura, senza l’incanto del Monferrato, senza la magica porta che costituisce l’appennino ligure. Eri lì mentre speravo di incontrare qualcuno, scusa pietosa per non ammettere che vagavo in cerca della mia identità. Papà al volante mi portava verso i luoghi dell’anima.
Poi Frugarolo, il ricordo: “Lella Lombardi è nata qui, l’unica donna che ha conquistato mezzo punto in F1″. E la me adolescente già era pronta a fantasticare su questa ragazza incredibile, che guidava i bolidi da me tanto amati. Il viaggio continua con la mia sete di risposte, ma non esisteva Wikipedia, il web una chimera, allora mi affido ai ricordi di mio padre.
“Era il 1975, Gran Premio di Spagna. Pista cittadina, incasinata, piena di incidenti. Mi ricordo che i piloti non volevano correre. A quell’epoca iniziavano i dubbi sulla sicurezza.” Io riflettevo, quasi stordita, capendo senza capire a fondo, perché Ayrton era morto da poco e avevo i brividi pensando ad altri incidenti di epoche lontane. “Ci furono morti?” Lo chiesi con il cuore in gola.
“Qualche spettatore, non ricordo bene. Piloti feriti.” Io, felice fino a pochi attimi prima, sapendo che una donna si era affermata, d’un tratto mi rabbuiavo. La mia F1 era uno sport così esigente? Mi tornavano in mente i ricordi della mitologia, gli altari sacrificali, pensieri pesanti a cui non riuscivo a dare nomi. “Quindi, com’è finita?”
“C’era un pilota tedesco, Stommelen mi pare, ha fatto un incidente pazzesco. I guard rail non sono bastati, l’auto impazzita ha travolto la gente, quattro o cinque persone. La gara poi è stata interrotta. Complici i molti ritiri, tra cui le Ferrari, Jones e Hunt, restavano poche macchine in gara. Lella così è arrivata in seta posizione, l’ultima a cui si potevano attribuire punti. Ma visto che la gara si è interrotta a metà il punteggio è stato dimezzato.”
Ho vissuto la mia giornata, rivedendo il ragazzino che mi faceva battere il cuore, mangiando la frittata di zucchine che mi aveva preparato. Però continuavo a pensare a Lella. Nei giorni seguenti ho cercato tracce della sua storia, che incredibilmente si era intrecciata con la mia in un dolce ottobre degli anni novanta.
Ogni volta vedendo un camion pensavo a lei che guidava veloce e sicura sull’appennino, trasportando le gustose carni della macelleria di famiglia. “Vedi che le grandi ambizioni si nutrono di cose normali, mi dicevo“. La rievocavo sui kart dell’epoca, macchinette infernali alle quali si consacrava per continuare a vivere il suo sogno. E, dopo, la F3, la Formula 850, la Formula Ford, una lunga sequenza fino all’esordio in F1 nel 1974. In seguito quel 1975 che la consacrò alla memoria, con il famoso mezzo punto di cui mio padre tesseva le lodi.
Sono trascorsi quasi trent’anni da quel viaggio in Piemonte con papà, dalla scoperta di Lella. Sono arrivati gli articoli, i libri, la mia sete di motori che si sazia senza problemi grazie al web. Eppure ho nella mente quei ricordi, persi nella campagna d’ottobre, tra l’oro dell’autunno e le vendemmie. Quella F1 che mi aveva tolto l’immenso Senna provava a riconquistarmi con una donna intrepida.
Lella era forte senza rimarcarlo, pioniera senza rivendicarlo, arcobaleno molto prima che certe lotte venissero sdoganate. Il suo esempio mi ha riconciliata con un mondo che, ad oggi, riveste un ruolo di primaria importanza nella mia vita. Dopo averla incontrata sono tornata a guardare la F1 in maniera più consapevole, ad appassionarmi ancora, pian piano, come si conviene a ogni rinascita.
Crediti foto: F1