C’è una frase, tra le tante pronunciate da Sergio Perez durante la sua pausa forzata, che dovrebbe far tremare più di un pilota in griglia e, forse, anche i tifosi della Ferrari: “Non c’è nessun pilota che potrebbe competere con Max. Non importa se metti Hamilton o Leclerc al volante, sarebbero tutti spacciati”.
Una sentenza che non suona come una resa, ma come una constatazione maturata dopo quattro anni vissuti nel “ventre della bestia”, accanto a un Verstappen diventato più di un riferimento tecnico: un ecosistema a sé.
Dal 2021 al 2024, Perez è stato il punto di confronto più diretto, e insieme più impietoso, del dominio Red Bull. I numeri raccontano una verità che non ammette repliche: in dieci qualifiche il messicano è riuscito a precedere Verstappen, ma in ben ottanta occasioni è stato battuto. In gara, la sproporzione resta la stessa: 11 successi parziali contro 79 sconfitte a parità di arrivo.
Numeri da KO tecnico, che rendono difficile pensare che chiunque – anche un Leclerc o un Hamilton nel pieno della forma – possa emergere accanto all’olandese senza restare schiacciato.

E Perez, che nel 2025 vestirà i colori Cadillac, non ha avuto remore a raccontare il prezzo umano e tecnico di quell’esperienza: “Appena è stata decisa la separazione, ho capito che il poveretto che sarebbe arrivato alla Red Bull sarebbe stato semplicemente impotente. Io sono riuscito a malapena a sopravvivere in un ambiente molto difficile. È durissimo guidare accanto a Max, la maggior parte delle persone non lo capisce”.
Una dichiarazione che svela quanto profondo sia il livello di simbiosi tra Verstappen e la Red Bull, una relazione costruita intorno al suo stile, al suo linguaggio tecnico, alla sua capacità di spremere dal bilanciamento della monoposto ogni dettaglio utile a plasmare la prestazione. Perez lo dice chiaramente: “Non è che la macchina sia poi così male, ma il bilanciamento è molto particolare. Se non la guidi come lui, sei completamente perso”.
La RB21 – e tutte le sue antenate – nascono, si sviluppano e vincono sulla base delle sensazioni di Verstappen, sul suo modo di leggere il grip, sull’aggressività che riesce a mantenere anche quando la macchina si muove oltre il limite. È un talento che diventa un’arma a doppio taglio per chi gli siede accanto: l’auto è costruita per il suo genio, non per l’equilibrio e l’adattività globale.

Un approccio che, se traslato in un ambiente come quello Ferrari, metterebbe in seria difficoltà chiunque: la SF-25 è già un rebus per Leclerc e Hamilton, ma l’olandese – con il suo stile – ne farebbe un bisturi. Gli altri, probabilmente, resterebbero vittime del confronto, psicologicamente e cronometrico. Questo il succo del Perez-pensiero che sembra essere un po’ troppo azzardato e riduttivo. Un concetto che non super l’esame della coerenza storico-tecnica.
Perez non è il primo a rimanere schiacciato dal peso di un compagno di squadra dominante, ma è in ogni caso l’unico ad averlo raccontato con tanta lucidità. Le sue parole hanno il sapore di una testimonianza tecnica più che di una lamentela. Quando dice “bisogna adattarsi allo stile di guida di Max”, non parla di talento, ma di sopravvivenza. E nel paddock, tutti sanno quanto questo significhi: per tenere il passo del quattro volte iridato, non basta essere veloce: bisogna essere lui.
E allora sì, Perez ha ragione: chiunque salisse su quella Red Bull, oggi, sarebbe “spacciato”. Perché Verstappen non è solo il punto di riferimento della squadra, è il punto di rottura del concetto stesso di paragone. E se un giorno, per gioco o per destino, un ferrarista provasse a misurarsi con lui a parità di macchina, non sarebbe un duello. Sarebbe un esperimento di resistenza. Uno scenario che, oggi, non è però preconizzabile. Suggestioni. Queste sono quelle di Perez.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP
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