Negli ultimi giorni sta facendo molto discutere la decisione di alcune scuderie, come Audi – che dall’anno prossimo acquisirà il pieno controllo della Stake F1 Team Kick Sauber con una propria power unit – e la Visa CashApp Racing Bulls, di aprire sedi in Inghilterra.
Hinwil, la storica sede della Sauber, rimarrà il quartier generale della scuderia tedesca, mentre la sezione tecnologica sarà in Inghilterra. La scelta dovrebbe ricadere all’interno del “cerchio magico” della Motor Valley britannica: Bicester, Silverstone o Milton Keynes.
Per quanto riguarda la scuderia italiana di Faenza, essendo il team satellite della Red Bull, aprirà una sede vicino alla casa madre, a Milton Keynes.

F1 – Audi e Racing Bulls sono solo le ultime a trasferirsi in Inghilterra.
Anche l’americana Cadillac, che entrerà in griglia il prossimo anno con una power unit Ferrari dopo una lunga querelle con la F1, ha aperto una sede a Silverstone.
Queste scelte hanno fatto infuriare una parte di fan e appassionati di F1, che criticano la crescente “britannizzazione” della categoria, ormai divenuta un tratto distintivo della Formula 1. Ad oggi, la sola Ferrari ha sede in Italia, a Maranello, come indicato dalla sua licenza.
Molti fan e appassionati si chiedono: “Un campionato mondiale come la F1 può davvero definirsi tale se il 90% delle scuderie ha sede nella perfida Albione?” A questa domanda si può rispondere facilmente: sì.
Anche se può non piacere, anche se può far storcere il naso, sì, la Formula 1 rimane un campionato mondiale a tutti gli effetti, anche se un domani la Ferrari decidesse di tornare in Inghilterra. Una possibilità già sperimentata, seppur con scarso successo, negli anni ’80, quando l’ingegnere inglese John Barnard decise di non trasferirsi a Maranello, costringendo la Ferrari ad aprire una sede—o meglio, un’“antenna tecnologica”—a Guildford.
Un altro quesito posto dai tifosi è: “La FIA può incentivare le scuderie non britanniche a rimanere nel paese della loro licenza?” Anche qui, la risposta è semplice ed elementare: no.
Le scuderie di F1 sono aziende private, spesso controllate da multinazionali, che prendono decisioni basate su ciò che ritengono più opportuno per il loro successo. Il Regno Unito – o, più precisamente, l’Inghilterra – è la culla della Formula 1. È la nazione con più titoli piloti, più titoli costruttori, più gare vinte e, soprattutto, con i migliori ingegneri al mondo.
Se vuoi competere e vincere nel Circus, trasferirti in Inghilterra è quasi una necessità. Gli ingegneri britannici, primo fra tutti Adrian Newey, sono poco inclini a lasciare il proprio paese per lavorare in una scuderia sul continente europeo.
Molti tifosi della Ferrari si sono appellati alle parole del compianto ex presidente Sergio Marchionne. Questi, consapevole delle difficoltà della Rossa nel convincere gli ingegneri inglesi a trasferirsi a Maranello, puntò sulle “eccellenze italiane”.
Alcune di queste “eccellenze italiane“, come gli ingegneri Aldo Costa, Enrico Cardile, Mattia Binotto e Andrea Stella, hanno lavorato o lavorano per scuderie rivali in ruoli di rilievo, dopo essere stati allontanati dal Cavallino Rampante senza troppi complimenti.
Tifosi della Ferrari, non ergetevi a paladini dell’italianità o di un patriottismo spicciolo che significa tutto e niente. La Rossa ha vinto con ingegneri stranieri. Basti pensare a Rory Byrne, Ross Brawn e a tutto il “Dream Team” che arrivò dalla Benetton con Michael Schumacher. Non facciamo la “morale geografica”. Sono scelte legittime, che possono non essere condivise ma vanno almeno rispettate. Patriottismo, nazionalismo e retorica varia lasciamoli ai politici.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP