La F1, nel corso della sua storia, ha attirato persone da tutto il mondo, tanto da divenire un fenomeno globale, paragonabile al calcio. Tuttavia, rispetto a questo mondo, la Formula 1 è uno sport più chiuso, d’élite, dove grandi case automobilistiche e multinazionali miliardarie si sfidano fino all’ultimo metro d’asfalto, nei circuiti di tutto il mondo, per dimostrare la propria supremazia tecnica ed economica.
In pratica, provocatoriamente, è un affare tra “ricchi annoiati”, una gara a chi ce l’ha più grosso. Essendo uno sport per privilegiati, ha attirato anche VIP, persone conosciute in tutto il mondo, come attori, cantanti e calciatori. Li vediamo nei box delle varie scuderie o nelle “hospitality” riservate solo a loro durante ogni Gran Premio.
Negli ultimi anni, con l’avvento di Liberty Media, azienda americana attiva nel settore della comunicazione, la categoria ha prodotto, insieme al gigante dello streaming Netflix, una docuserie che copre ogni campionato del mondo dal 2018 a oggi: la famigerata “Drive to Survive”.
Questa serie è stata criticata sia dai piloti sia dai fan e dagli appassionati, ma ha accresciuto la fama della Formula 1, soprattutto negli Stati Uniti, tanto da portare a ben tre Gran Premi su suolo americano: quello di Miami, quello degli Stati Uniti (Austin) e, infine, quello di Las Vegas.

La F1 attira gli influencer
Quando la F1 ha raggiunto il suo picco di popolarità, ha attirato una nuova categoria di “VIP”: gli influencer. La maggior parte di questi non ha un talento particolare, come può averlo un attore, un cantante o un protagonista di un altro sport. L’influencer è semplicemente una persona che ha ottenuto grande successo grazie ai social network e che è riuscita a influenzare milioni di persone nel mondo, condizionandone comportamenti e scelte nella vita di tutti i giorni.
La F1 ha assegnato un “ruolo” a questi personaggi, spesso chiamandoli a premiare chi ottiene la pole position durante le qualifiche del sabato di ogni Gran Premio, con il premio di un “ruotino” della Pirelli, o permettendo loro di sventolare la sacra bandiera a scacchi al termine della gara. Questi personaggi sono molto criticati dai fan e dagli appassionati, accusati di usufruire dei benefici che offre loro il Circus senza essere veri seguaci della categoria e senza conoscere la sua storia.
Questo, però, non è un “problema” esclusivo della F1. Altri eventi globali utilizzano gli influencer per aumentare la loro visibilità. Basti pensare al Festival di Cannes o alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia, che negli ultimi anni hanno iniziato a invitare queste figure. Tali eventi sono tradizionalmente riservati a un pubblico di nicchia, dove vengono proiettati film da tutto il mondo che il “grande pubblico” non guarderebbe mai. Non sono i soliti blockbuster, insomma.
Quando un influencer sfila sul red carpet, immortalato da decine di fotografi per essere messo sulle copertine di riviste in tutto il mondo, si cerca di avvicinare quel pubblico, il “grande pubblico”, a film che altrimenti non guarderebbe mai. Lo stesso avviene con la Formula 1.
L’influencer è un mezzo di espansione, che ha l’obiettivo di attirare il maggior numero di spettatori, anche chi non ha nozioni di motori, tecnica o aerodinamica, e che non si incollerebbe mai allo schermo per vedere delle auto inseguirsi e girare in tondo per un’ora e mezza. In un certo senso, gli influencer rappresentano un “male necessario” per uno scopo più grande. Ragion di stato, direbbe qualcuno.
Non credo che la F1, uno sport di tale grandezza, ne abbia bisogno, ma ormai il mondo ha preso questa direzione e si è venduto a questi personaggi che, per carità, sono stati bravi a diventare famosi grazie ai social network, ma alla fine non aggiungono nulla di nuovo. Quello che conta davvero è ciò che vediamo in pista, non sui social.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, Oracle Red Bull Racing