“La Ferrari non vince dal 2004 con Schumacher”.
Quante volte l’avete letta, questa frase?
Peccato che sia sbagliata. E non per un dettaglio trascurabile.
Nel 2007, Kimi Raikkonen ha vinto il campionato del mondo di Formula 1 con la Ferrari, riportando il titolo piloti a Maranello tre anni dopo Michael Schumacher. L’anno successivo, nel 2008, la scuderia ha vinto anche il Mondiale Costruttori. Eppure, sembra che il nome di Raikkonen venga sistematicamente escluso dai ricordi e dai racconti, anche da parte di appassionati che si definiscono tali.
Perché molti tifosi hanno dimenticato il mondiale di Raikkonen?
La spiegazione più ovvia è anche la più inquietante: una generazione di nuovi fan della Formula 1 sembra ricordare solo ciò che è più virale, più narrativo, più mitico. E nel racconto popolare della Rossa, dopo l’epopea Schumacher e prima del lungo digiuno di oggi, Raikkonen viene visto come un passaggio poco epico, quasi marginale.
Eppure non c’è nulla di marginale in quel 2007. Kimi vinse un titolo rocambolesco all’ultima gara, dopo una rimonta impressionante su Hamilton e Alonso, con appena un punto di vantaggio. È stato l’ultimo pilota a laurearsi campione del mondo alla guida della Ferrari. Un’impresa che oggi verrebbe idolatrata, ma che all’epoca fu vissuta forse con meno pathos, complice anche il carattere schivo e glaciale del finlandese.
Il peso dei social: tra viralità e oblio selettivo
Sui social, la memoria è selettiva. I contenuti che creano engagement sono quelli con narrazioni forti, volti noti, emozioni da instant classic. Schumacher è leggenda. Vettel è il sogno infranto. Leclerc è la speranza futura. Raikkonen? È un meme.
Molti utenti che oggi generano contenuti ad alto tasso di coinvolgimento sulla F1 non erano spettatori abituali nel 2007, o si informano oggi tramite reel e titoli clickbait. In questo contesto, un campione silenzioso e poco “socialmente vendibile” come Kimi finisce ai margini della memoria collettiva.
Quanto pesa l’immagine pubblica di un pilota nel suo lascito sportivo?
Tanto. Forse troppo.
Raikkonen è diventato famoso anche per la sua freddezza (“Leave me alone, I know what I’m doing”), ma non ha mai alimentato il culto di sé, come fanno oggi molti protagonisti del paddock. Non ha costruito una narrazione attorno al suo successo. Non ha capitalizzato. E forse per questo, il suo mondiale è rimasto orfano di storytelling.
Che cosa ci insegna l’oblio di Raikkonen?
Che la memoria sportiva è fragile, e spesso ingiusta.
Che anche nell’era dell’iperconnessione, serve ricordare e documentare, non solo “sentire” o “condividere”.
E che non possiamo continuare a dire che la Ferrari non vince dai tempi di Schumacher, ignorando i dati e le imprese reali.
Raikkonen è stato l’ultimo campione del mondo in tuta rossa. Questo dovrebbe bastare a garantirgli un posto stabile nel cuore dei ferraristi. E invece molti sembrano averlo dimenticato.
Ma noi no. Noi ce lo ricordiamo eccome.
Crediti foto: Ferrari
Immenso Kimi
Un james hunt in tuta rossa grande
Ricordo benissimo quell’anno, e si, in molti non sanno che è l’ultimo campione Ferrari al anno, all’esordio con pole, giro veloce, e vittoria alla prima gara. Soprattutto è l’ultimo vero pilota di F1.
Scusare errore inserimento automatico *al primo anno*
Ricordo benissimo quell’anno, e si, in molti non sanno che è l’ultimo campione Ferrari al primo anno, all’esordio con pole, giro veloce, e vittoria alla prima gara. Soprattutto è l’ultimo vero pilota di F1.
Kimi il mio idolo l’ultimo vero pilota di F1 grande