C’è una certa ironia nel modo in cui la storia restituisce giustizia a chi l’ha riscritta. John C. Malone, il grande burattinaio dei media globali, lascia la presidenza di Liberty Media e Liberty Global – i colossi che detengono i diritti commerciali di Formula 1 e MotoGP – dopo aver rivoluzionato il concetto stesso di Circus iridato.
Per i puristi, per i reazionari del volante e della nostalgia, il suo nome resterà legato al “peccato originale”: aver trasformato la Formula 1 in uno spettacolo di intrattenimento. Ma per chi guarda oltre il romanticismo dell’olio bruciato e delle curve disegnate a mano, Malone è stato l’uomo che ha salvato la categoria dal declino che sembrava imminente nei mesi bui del Covid-19.

Dal 2017, anno in cui il colosso americano dell’intrattenimento acquisì ufficialmente la gestione del campionato, la Formula 1 ha cambiato pelle. Non più un prodotto elitario destinato a una ristretta cerchia di appassionati, ma un linguaggio universale, tradotto in emozione visiva, accessibilità digitale e storytelling contemporaneo. “Drive to Survive”, il progetto che Netflix trasformò in fenomeno culturale, non fu solo marketing, fu la presa d’atto che il pubblico moderno cerca un legame umano, non soltanto meccanico, con i suoi eroi.
E dietro quella visione c’era proprio lui, John Malone, mente strategica e spirito calvinista del capitalismo narrativo. Mentre i puristi gridavano alla profanazione, Liberty Media riportava in pista tifosi, sponsor e mercati. I Gran Premi tornavano a riempirsi, le città facevano a gara per ospitare i circuiti cittadini, gli Stati Uniti – un tempo terra arida per la F1 – diventavano il nuovo epicentro del business. Austin, Miami, Las Vegas: il trittico yankee che ha ridefinito il calendario globale porta la sua firma quella dei suoi collaboratori: Chase Carey, Greg Maffei e Stefano Domenicali. E anche un nuovo team a stelle strisce: Cadillac oltre alla Haas.
La notizia delle sue dimissioni, effettive dal 1° gennaio 2026, segna la fine di un ciclo ma non della sua influenza. Malone diventerà Presidente Emerito, lasciando il timone a Robert R. “Dob” Bennett, suo storico braccio destro e architetto silenzioso di molte decisioni strategiche. Un passaggio di consegne che non rappresenta un cambio di filosofia, bensì la continuità di un progetto industriale e culturale che ha saputo fondere economia dei dati e passione sportiva.
“Fondare Liberty Media e ricoprirne il ruolo di presidente è stata una delle esperienze più gratificanti della mia vita professionale”, ha dichiarato Malone. “Credo che sia il momento giusto per fare un passo indietro da alcuni dei miei doveri, ma continuerò a partecipare attivamente come azionista di maggioranza e consulente strategico”. Parole misurate, come nello stile di chi è abituato a determinare standosene nell’ombra. Ma dietro quella calma apparente c’è la certezza di chi sa di aver cambiato le regole del gioco.
Il suo merito più grande? Aver compreso che la Formula 1, per sopravvivere nel XXI secolo, doveva smettere di parlare solo agli ingegneri e tornare a parlare alle persone. Aver dato forma a un ecosistema in cui la tecnologia convive con la narrazione, in cui l’algoritmo non sostituisce la passione ma la amplifica. Chi lo accusa di aver “americanizzato” la F1, probabilmente ignora che senza quella visione la categoria sarebbe rimasta schiacciata da un modello economico insostenibile, incapace di dialogare con i nuovi linguaggi dello sport globale.

Nel mondo della velocità, dove tutto corre e tutto invecchia, John Malone lascia un’eredità che non si misura solo in numeri. Si misura nel rumore di un paddock che oggi parla più lingue, nei volti dei nuovi fan che si accostano al mito, nel coraggio di un sistema che ha saputo reinventarsi senza tradire sé stesso.
L’eretico, a ben vedere, non ha mai snaturato la Formula 1: l’ha riportata nel suo tempo. E per questo, nel bene e nel male, resterà uno dei suoi più grandi innovatori.
Crediti foto: Liberty Media
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