John Elkann ha deciso di rompere il silenzio. Peccato che, come spesso accade, lo abbia fatto nel momento sbagliato e dicendo la cosa meno idonea. Il presidente della Ferrari, intervistato da Repubblica, ha pensato bene di puntare il dito contro i driver: “Abbiamo bisogno di piloti che pensano non a loro stessi, ma alla Ferrari”. Tradotto: la colpa, ancora una volta, è di chi si sporca le mani.
Ma davvero è questo il problema della Ferrari? Davvero la differenza tra vincere e perdere sta in due ragazzi che si fanno il mazzo – con risultati alterni – ogni weekend, cercando di portare una monoposto al limite mentre la dirigenza si esercita a fare comunicati e a distribuire colpe? No, il problema è un altro: è che a Maranello si continua a confondere la leadership con la predica.
Elkann parla di “unità”, di “lavoro coeso”, di “meccanici e ingegneri che fanno un ottimo lavoro”. Frasi di circostanza che suonano come il copione di chi osserva la Formula 1 da lontano, dal salotto comodo e climatizzato. Ma quando aggiunge che “i piloti devono pensare meno a se stessi”, si scava la fossa da solo. Perché Leclerc e Hamilton, a differenza sua, vivono ogni errore in diretta mondiale. Si prendono le critiche, il peso delle aspettative, e intanto lottano con una vettura che resta imprevedibile, fragile e, spesso, inferiore a quelle delle concorrenza.
In relazione al GP del Brasile, Elkann parla di “delusione”. Bene. Ma quella delusione nasce da una gestione che non ha mai protetto chi combatte in pista. È comodo elogiare i pit stop e il lavoro in fabbrica – che sono davvero eccellenti – quando si evita accuratamente di parlare di una macchina che non cresce al ritmo dei rivali, o di un progetto tecnico che cambia direzione ogni anno. La verità è che questa Ferrari non perde per colpa dei piloti, ma per mancanza di visione.

E allora, quando il presidente invita tutti a “parlare meno”, forse dovrebbe essere il primo a seguire il suo stesso consiglio. Perché a forza di parole fuori luogo, la Ferrari continua a sembrare una squadra guidata più dalla retorica che dal coraggio. Charles Leclerc non ha bisogno di essere zittito: ha bisogno di un’auto degna del suo talento. Lewis Hamilton – che John ha voluto con un colpo di mano – non deve “pensare meno a se stesso”: deve essere messo nelle condizioni di pensare alla vittoria.
Se Elkann vuole davvero una Ferrari unita, cominci col non dividerla pubblicamente. La squadra non si compatta scaricando le colpe su chi guida, ma assumendosi la responsabilità di chi decide. Oggi, la Ferrari non ha bisogno di predicatori. Ha bisogno di leader.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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Buongiorno Diego,
complimenti a te e a tutta la redazione per i contenuti sempre di alto livello che pubblicate.
Mi viene una domanda, legata in parte alle parole fuori luogo di Elkann: in una Formula 1 dove la vettura è monitorata da centinaia di sensori con precisioni degne di un’astronave, non dovrebbe essere difficile capire se un pilota ha davvero dato tutto.
I dati di telemetria a cui voi giornalisti avete accesso raccontano molto dello stile di guida e dei limiti della monoposto, ma immagino rappresentino solo una piccola parte delle informazioni che ogni team può analizzare.
Oggi, tra GPS per lo studio delle traiettorie e camera car per il dettaglio delle azioni, ingegneri di pista e piloti possono rivedere giro per giro ogni frenata o cambio marcia, verificando se la vettura è stata portata al limite o se restava margine. E sono certo che i migliori venti piloti del mondo sappiano spiegare perfettamente perché in una curva hanno frenato prima o sterzato di dieci gradi in più o in meno.
Al di là del fatto che i “panni sporchi” dovrebbero sempre essere lavati in casa, il presidente dovrebbe poter ricevere da chi guida la squadra un resoconto preciso su come hanno performato i piloti.
E considerando che nessun pilota può andare più veloce della propria macchina, credo che gli elementi per valutare se “parlano troppo” o semplicemente dicono la verità non manchino.
Dall’alto della tua esperienza nel motorsport, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
Grazie,
Brizio