C’è un filo sottile, quasi impercettibile, che unisce il rombo di un motore al battito di un cuore. È lo stesso che accompagna la voce roca di chi, dopo aver sfidato la velocità, continua a raccontare la vita come fosse una pista da percorrere metro dopo metro. In questa immagine c’è tutto Alex Zanardi: l’essenza di un pilota che ha trasformato il dolore in energia, la sconfitta in rinascita.
Dalle officine bolognesi ai circuiti del mondo
Sotto i portici di Castel Maggiore, nella provincia bolognese, il piccolo Alex cresce tra l’odore di benzina e il rumore dei motori. Un garage, più che un rifugio, diventa il luogo dove un padre e un figlio imparano a convivere con l’assenza di una figlia e di una sorella. Le mani sporche d’olio sono il segno di una passione che presto si trasforma in vocazione.
La velocità entra nella sua vita con i kart, dove l’entusiasmo di un ragazzo incontra l’ambizione di un futuro pilota. Poi arrivano le formule minori, le prime cadute, le prime vittorie e, soprattutto, quella fame di pista che non lo abbandonerà mai.

La scalata al professionismo
Zanardi attraversa le categorie come un funambolo che non teme l’altezza. Dalla Formula 3000 approda in Formula 1, dove corre tra il 1991 e il 1994, e poi ancora nel 1999, in una difficile stagione con la Williams. Ma il vero apice della sua carriera arriva negli Stati Uniti, in Champ Car, con il team Ganassi: due titoli consecutivi, nel 1997 e nel 1998, che lo consacrano tra i migliori interpreti europei del campionato americano.
Laguna Seca diventa il suo palcoscenico. Quel sorpasso impossibile all’ultima curva, passato alla storia come “The Pass”, racchiude il suo spirito: coraggio, intuito, follia controllata.
Il giorno che cambiò tutto
Il 15 settembre 2001, al Lausitzring, la sorte sceglie di mettere alla prova la sua forza. Acqua e olio sull’asfalto, una monoposto che perde aderenza, un testacoda inevitabile. L’impatto con un’altra vettura è devastante. Alex perde le gambe, ma non la lucidità né la voglia di vivere. L’intervento dei medici e la sua tempra gli permettono di sopravvivere a quello che sembrava impossibile.
Da quel momento inizia una seconda vita.

La rinascita dell’atleta
Alex non si limita a sopravvivere: si reinventa. Trasforma la menomazione in una sfida personale e collettiva. Si avvicina al mondo della disabilità con ironia e consapevolezza, diventa simbolo di resilienza e di libertà. L’handbike è la sua nuova monoposto: un mezzo leggero, aerodinamico, da spingere con la forza delle braccia e con la stessa determinazione che lo aveva portato a tagliare traguardi in pista.
Dalle pianure venete alle Paralimpiadi, la parabola sportiva si ripete: Londra 2012 e Rio 2016 lo vedono trionfare, con l’Italia che si alza in piedi per applaudire un uomo capace di trasformare ogni limite in vittoria.
L’ennesima salita
Nel giugno 2020, lungo le strade della Val d’Orcia, il destino si ripresenta sotto forma di un nuovo impatto, questa volta con un camion. Da allora, Alex Zanardi vive in una dimensione sospesa, lontano dai riflettori ma non dal cuore di chi lo ha ammirato. Ogni notizia sul suo stato di salute è accolta con rispetto e speranza, come si attende la ripartenza di una gara interrotta.
Perché chi lo conosce – o anche solo lo ha seguito – sa che nulla è mai davvero finito con lui. Zanardi è l’uomo che, non potendo più correre né camminare, ha insegnato al motorsport e a chi lo ama una lezione più grande di qualsiasi vittoria: si può volare anche senza ali, se la forza arriva dal cuore.
Crediti foto: Alex Zanardi
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